Antonio Pettinicchi è stato un artista di rara profondità, capace di trasmettere attraverso la sua opera un mondo intriso di dolore, dignità e lotta sociale. La pittura di Pettinicchi nasce da una fusione unica di tradizione e sperimentazione. Formatosi grazie alla guida di Amedeo Trevisonno e successivamente liberatosi dalle influenze accademiche napoletane sotto l’impulso di Emilio Notte, Pettinicchi sviluppò un tratto personale e quasi musicale. Le sue pennellate ritmiche, rapide e incisive, sembrano trasmettere un’energia sonora, come un continuo tsan tsan tsan, che vibra nei suoi quadri.
“Le sue opere risiedono agli Uffizi, al Pushkin, alla Galleria Nazionale, al British Museum… Eppure in pochi, se non gli addetti ai lavori, conoscono l’opera di Pettinicchi.”, afferma Danilo Sergio, talentuoso regista nato a Brindisi, che nel suo documentario ci invita a guardare attraverso uno spioncino, ad entrare nel mondo visionario e tormentato di un artista che, pur avendo lasciato un segno indelebile nelle grandi collezioni internazionali è rimasto un tesoro nascosto, conosciuto solo dagli addetti ai lavori. Il regista struttura il suo racconto in blocchi tematici, evitando qualsiasi didascalismo, proprio come faceva Errol Morris nei suoi documentari, dove ogni elemento visivo e narrativo è progettato per trasportare lo spettatore in una dimensione intima e profonda. “Se avessi scelto una narrazione più sperimentale, avrei rischiato di non veicolare la sua opera con la giusta efficacia”
Nei suoi quadri, come in un film di Tarkovskij, i paesaggi non sono mai sfondi, ma protagonisti carichi di tensione. Tormentati e intensi, riflettono la stessa sofferenza che si ritrova negli autoritratti del pittore, dove la deformazione espressionista amplifica l’intensità emotiva. Pettinicchi non cercava bellezza convenzionale, ma la verità. La dignità dei suoi soggetti è palpabile, straripante, e capace di superare ogni confine geografico o culturale.
L’approccio di Pettinicchi all’arte è radicalmente materico, quasi alchemico. Scava nella materia, lavorando con acidi e lastre metalliche, trasformando il nero in un universo cromatico ricco di variazioni. Danilo Sergio, nel suo racconto, coglie questa dimensione fisica e spirituale del segno: “Il primo piano dello spazzacamino, realizzato con l’acquaforte, è universale. Poteva essere un uomo di un borgo molisano o di New York. Quello che conta è la dignità che esplode dalla sua figura.”
Uno dei progetti più ambiziosi di Pettinicchi è stata l’illustrazione della Divina Commedia, riletta con uno sguardo profondamente umano e laico. Nel suo Paradiso, accanto ai santi, trovano posto anche contadini e figure umili, mentre il suo Inferno denuncia mali moderni come il caporalato e la violenza di classe.. Qui si avverte un’eco di Pier Paolo Pasolini, che con la sua Trilogia della Vita celebrava i volti e le storie degli ultimi, trasformandoli in eroi universali.
Il legame tra il maestro molisano e la musica, in particolare con la Sinfonia n. 5 di Mahler(scelta appunto come sottofondo carico ed emotivo per parte del documentario), è un elemento centrale nella sua produzione. Per lui, il colore era un’estensione del suono, una deflagrazione cromatica che dava corpo all’energia musicale. “Se Padre Pio mi dà qualcosa, è Mahler che mi dà l’ira di Dio.” Questo legame tra musica e pittura rende la sua opera una continua esplosione di dissonanze e armonie.
Come osserva l’autore brindisino, “Raccontare Pettinicchi significa offrire allo spettatore l’opportunità di scoprire un mondo di emozioni potenti e di immergersi in una narrazione che trascende l’apparenza, rivelando l’essenza più autentica dell’umanità.” L’opera di Pettinicchi rimane un messaggio universale, capace di commuovere, provocare e ispirare (forse).