<<All’inizio di un luglio straordinariamente caldo, verso sera, un giovane scese per strada dallo stanzino che aveva preso in affitto in vicolo S., e lentamente, come indeciso, si diresse verso il ponte K. Sulle scale riuscì a evitare l’incontro con la padrona di casa… Doveva dei soldi alla padrona e temeva d’incontrarla.>> Inizia così “Delitto e castigo” famoso romanzo del grande scrittore Dostoevskij, in questo incipit tutta la situazione ci appare già ben delineata: miseria, povertà, sotterfugi, disperazione.
Scritto in pieno ‘ 800, “Delitto e castigo” è forse il romanzo più conosciuto e amato del grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij. Romanziere tra i più apprezzati, esistenzialista, attento osservatore della psicologia umana, il nostro autore ci ha lasciato grandi opere, romanzi che ci continuano a parlare nel tempo, a trasmetterci valori, sentimenti, sensazioni che sono sempre “attuali”, paragonabile in questo all’altro grande scrittore russo Lev Tolstoj.
Il romanzo è incentrato su un duplice omicidio, sulla sua preparazione e su tutto ciò che ne consegue, tanto che molti lo definiscono un proto poliziesco.
Ma “Delitto e castigo” è molto di più di un giallo, nel senso classico della parola, è un romanzo che ci mostra cos’è il senso della vita per Dostoevskij, senso e significato dell’esistenza umana, che si raggiungono solo attraverso la sofferenza.
Raskolnikov, il protagonista, giovane studente squattrinato, è un personaggio complesso, contorto nella sua psicologia, costretto a fare i salti mortali per pagarsi gli studi, senza speranza, conduce una vita misera ai margini della società a contatto con l’umanità più disperata, da questa società egli si sente respinto e rifiutato, cova dentro di sé un cupo risentimento verso la vita e verso coloro che, più fortunati, ricchi e apparentemente felici ai suoi occhi, si godono la vita e la loro ricchezza, molte volte infischiandosene delle regole morali.
E’ in questa vita misera e disperata, in ambienti dove gli uomini toccano spesso il livello più basso dell’abiezione e della disperazione, che Raskolnikov comincia a sperare in un suo riscatto morale, si crede un essere superiore per qualità morali e intellettuali, una superiorità che, solo per caso, non ha trovato ancora il modo di esprimersi, una grandezza ancora latente, ma destinata a sollevarlo al di sopra della gente comune e al di là delle regole morali imposte dalla società. In quanto essere superiore alla massa, egli comincia, nel suo delirio, a pensare di avere una missione da compiere, una missione per vendicare le ingiustizie presenti nel mondo, rendere almeno una parte a coloro a cui è stato tolto tutto.
Solo che, piccolo particolare, ciò prevede l’uso della violenza, quindi il male, per vendicare il male fatto e renderlo in bene, al di là del bene e del male. Raskolnikov, e con lui Dostoevskij, pensa che ciò sia non solo possibile ma auspicabile, in modo da compiere fino in fondo la missione a cui si è votato. Inutile spiegare che questa impresa serve al nostro protagonista per avere l’illusione di potersi salvare da una vita inutile, senza più scopo, senza più nessuna speranza.
Ecco allora una possibilità di salvezza, c’è una vecchia usuraia, simbolo di tutto il male che regna nel mondo, il gesto estremo, disperato, voluto, poi l’angoscia e il tormento.
Dostoevskij ci descrive e narra le sofferenze degli ultimi, i dimenticati, la sofferenza di questi di essere derisi, calpestati, esclusi, esseri che, però, non avendo nulla da perdere, o forse proprio per questo, trovano la forza per compiere quel gesto, disperato ma motivato, che nessuno mai si sarebbe aspettato. E poi la luce finalmente, la redenzione attraverso la sofferenza, la più alta forma di catarsi, l’unica veramente possibile.
Questo vuole trasmetterci Fëdor Dostoevskij, esperto e raffinato indagatore dell’animo umano e maestro nel raccontarcelo.