Pennablù: intervista a Lorenzo Marone

Lorenzo Marone nasce a Napoli. Laureato in Giurisprudenza, esercita l’avvocatura per quasi dieci anni, mantenendo parallelamente un’intima attività di scrittore. Un giorno smette di fare l’avvocato, si trova un lavoro come impiegato in un’azienda privata e comincia a spedire i suoi racconti. Suoi sono i libri Daria (La gru, 2012), Novanta. Napoli in 90 storie vere ispirate alla Smorfia (Tullio Pironti, 2013), La tentazione di essere felici (Longanesi, 2015), Magari domani resto (Feltrinelli 2017), Cara Napoli (Feltrinelli 2018), Tutto sarà perfetto (Feltrinelli, 2019) e La donna degli alberi (Feltrinelli, 2020), Sono tornato per te (Einaudi, 2023) e Pennablù. Piccola storia buffa (Marotta e Cafiero, 2024).

Al Salone Internazionale del Libro di Torino, abbiamo avuto il piacere di parlare con lui della sua ultima opera, di editoria, di camorra, di gabbie dorate e di vite segnate. 

Pennablù racconta la storia di Totò. Totò è un’ara blu, un pappagallo amazzonico di grande valore. Arriva a Napoli nella casa di Don Ciro, un boss di Camorra. Una casa caotica quanto la giungla, con tigri di ceramica e quadri sfarzosi. Una casa dorata. Ma la vira di Totò è difficile finché non diventa il braccio destro di don Ciro e gli si aprono le porte del paradiso. 

Durante la presentazione hai sottolineato come la narrazione televisiva del fenomeno mafioso è romanzata e tendente all’idealizzazione. Personaggi di Gomorra, o Romanzo Criminale che diventano eroici e affascinanti. Per superare questo modello hai parlato di ridicolizzare il fenomeno mafioso, uccidendone così il sotto-culto. 

Specie se noi parliamo ai giovani che subiscono il fascino di questa cultura distorta, se noi raccontiamo loro che questi hanno vite straordinarie piene di donne e soldi, senza raccontare la fine che fanno (o raccontandola sempre in maniera eroica), diventa inutile questa narrazione. Ecco perché credo che ridicolizzando la mafia e i loro usi grotteschi, sia un modo di smontare il sistema, o almeno provarci. 

Vite segnate e gabbie dorate. Sempre durante la presentazione — con il parallelismo con il tuo pappagallo — hai parlato di quanto le scuole e le attività extra scolastiche (la Scugnizzeria) siano importanti — ma non sufficienti — affinché le prossime generazioni riescano ad uscire dai loro contesti dorati. 

Già parlare di prossime generazioni è sbagliato perché viviamo in una società che non è capace di guardare al di là del proprio naso. Pensa che una volta in Norvegia feci una presentazione, lì mi dissero che hanno un fondo destinato ai progetti delle prossime generazioni; tu pensa se la dovessimo fare qui in Italia (Ride, ndr.) Siamo un paese che non ha visione, nemmeno di quello che accade con il riscaldamento globale o le guerre. I bambini sono e restano invisibili, se ne occupano in pochi, la politica per nulla. Se parliamo di chi nasce in un contesto disagiato, è molto difficile, perché mancano gli strumenti: vivono in rioni-ghetto, non vanno a scuola, sono educati in una certa maniera… ci vorrebbe davvero un intervento politico deciso. Per quel che riguarda le persone che non nascono nel disagio ma che sono spinte a farlo per via delle circostanze in cui vivono, lo strumento è solo uno, sempre lo stesso: la conoscenza; conoscere sé stessi, conoscere gli altri, ciò che ci abita e ciò che noi stessi abitiamo. Questo può venire sono tramite persone “illuminate”, insegnanti, perché no, preti, qualcuno che insegni loro la curiosità, qualcuno che apra loro la porta e gli faccia capire che esiste un altro modo do vivere la vita. Al giorno d’oggi avviene ogni tanto, per via di incontri fortuiti, proprio perché non c’è una volontà sistemica di migliorare la vita per le generazioni future. 

Dal punto di vista dell’autore cosa cambia quando si pubblica con grandi gruppi editoriali (come Feltrinelli, Einaudi) rispetto a  quando si pubblica con piccole realtà come la Marotta e Cafiero, che ha comunque nomi importanti come King, Pennac, Tamiki etc. Cosa cambia nel tuo approccio come autore? 

L’approccio è ovviamente diverso. Marotta e la sua squadra sono a un livello importante: per gli standard della media editoria  stanno facendo una percorso straordinario. Quando si tratta case editrici piccole e medie, il vero problema è sempre la distribuzione; le campagne di marketing sono più potenti. Però sono felice ed orgoglioso si contribuire con il mio lavoro a questa realtà partenopea. Credo che questo lavoro sia venuto benissimo, grazie alla commistione di tutte le personalità che ne hanno preso parte. E credo che questa piccola storia buffa possa arrivare a tutti. 

Come ci si rapporta come un editor? Come si trasforma il testo? Sei uno di quegli autori che non vogliono intromissioni nel proprio lavoro o sei uno di quelli che invece si fanno anche aiutare, consigliare, in questo caso. Che strategia avete adottato insieme?

Rispetto al lavoro portato avanti con i grandi gruppi editoriali, in cui l’intromissione è spesso tanta, con la Marotta ho avuto tantissima libertà. Generalmente sono uno che accetta le discussioni, le idee, i consigli; se mi piacciono le sfrutto, non rinnego mai a priori un consiglio o uno spunto nuovo. 

Come hai detto questo è un libro “che può arrivare a tutti”, perché ognuno può trovare la propria chiave di lettura… eppure mi chiedo, perché tra tutte le figure proprio il pappagallo? In una casa piena di lussi e di fasti, in cui avresti potuto utilizzare qualsiasi espediente narrativo, come mai la tua scelta è ricaduta proprio su questo animale?

Forse è stata proprio questa la grande idea. Vedere un ambiente simile dal punto di vista di un animale domestico, amplifica tutta quella che può essere la stranezza di un essere umano in un contesto mafioso-camorristico. Per quando riguarda la scelta del pappagallo nello specifico è perché il pappagallo è l’unico animale domestico capace di esprimersi, di articolare le parole. In un sacco di scene mi ha aiutato a rendere il libro divertente, a trovare nuovi sistemi narrativi per raccontare le vicende, per descrivere. È stato proprio il suo modo di comunicare, le dinamiche che si possono innescare tra un pappagallo e degli esseri umani. E poi il pappagallo è di per se un animale buffo. 

È più importante l’opera o l’autore? E alla fine, è l’autore a condizionare la casa editrice o la casa editrice a condizionare l’autore che prende sotto la sua ala? 

Per me è sempre più importante l’opera. È  sempre l’opera a parlare, l’opera a vendere. Non c’è alcuna campagna di marketing che possa aiutare un libro scritto male. Anche quando spalleggiato da continua pubblicità dura poco, al massimo due settimane. Vero è che a volte il nome di certi autori sono spesso una garanzia per il lettore, una promessa di bellezza. Anche se non non è mai detto che un autore che ha sempre scritto grandi successi non abbia cadute di. stile, scriva libri che hanno meno popolarità di altri. In definitiva è sempre l’opera ad averla meglio, a farsi il proprio nome e la propria popolarità, anche tramite il passaparola se necessario. 

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