Parola al linguista: italiano parlato e italiano scritto

Tra le abilità che differenziano l’uomo dagli animali vi è senz’altro la sua capacità di comunicare attraverso la lingua. Il linguista Luca Serianni nel suo Italiani scritti ha espresso come ogni uomo sia in grado di produrre fonemi e combinandoli creare una serie infinita di significati. Ogni lingua, come è ovvio, nasce prima di tutto come parlata, affiancata da altri linguaggi:

  • Mimico, ovvero l’atteggiamento del volto e l’espressione degli occhi;
  • Gestuale, ovvero l’insieme dei gesti che indicano una determinata affermazione o negazione;
  • Prossemico, ovvero legato alla distanza fisica fra noi e la persona con cui parliamo (se ci teniamo a distanza esprimiamo ad esempio disagio)[1].

Questi tre linguaggi sono ausiliari al parlato e non riguardano, quindi, lo scritto.

L’avvento della scrittura ha trasformato non solo il modo in cui gli uomini comunicano, ma anche il modo in cui essi apprendono, ha infatti prodotto, come dice l’antropologo W. J. Ong, nuovi modelli di pensiero che hanno reso possibile l’enorme sviluppo della cultura. Da quando siamo nati impariamo a parlare e solo successivamente a scrivere, ne consegue che spesso da bambini concepiamo la scrittura come la naturale conseguenza dell’oralità, come se per scrivere bastasse semplicemente trascrivere il parlato. Con il tempo impariamo che effettivamente non è così, in quanto esistono fra queste due forme di linguaggio differenze così marcate che non è possibile trattare allo stesso modo quelle che sono due modalità di comunicare estremamente complesse e distanti. Il progresso tecnologico ha reso ancora più complesse tali differenze.

Rimanendo per il momento su un quadro generale, la prima differenza fra le due forme sta nell’obbligo all’economia dello scritto, a dispetto della maggiore libertà del parlato. Supponiamo che io abbia visto un film e voglia parlarne ad un’amica. Potrei dire senza problemi: è stato un bel film, però sai, gli effetti speciali, come dire, mi aspettavo di più, cioè…capisci? Se dovessi invece scrivere lo stesso concetto, dovrei quantomeno rimuovere tutti i  “sai” e i “come dire”. Ne consegue che un parlante molto fluente non è detto sappia produrre frasi che scritte suonino bene. Ciò avviene in quanto la durata del parlato tende ad essere illimitata, poiché l’azione orale si esaurisce nel momento in cui si parla (il parlato esaurisce la sua funzione nell’immediatezza della comunicazione, dice Luca Serianni) mentre lo scritto presuppone più riflessione e cura. Se dovessi scrivere una recensione del suddetto film, farei i conti con limitazioni che nel parlato non esistono. In una comunicazione orale è possibile correggere già durante l’azione, ritrattare, modificare, mentre, come dicevano i latini verba volant, scripta manent. Perciò avviene che molte espressioni ammesse nel parlato, siano considerate errate nello scritto. Troviamo in molti libri “A me mi” indicato come ammissibile in una comunicazione orale, in quanto rafforzativo, pur essendo di fatto un errore grammaticale. Tuttavia questo non deve indurci a pensare che il parlato sia in evoluzione a dispetto di uno statico modo di scrivere. Il giornalista Andrea De Benedetti nelle sue varie pubblicazioni ha sottolineato proprio come una grammatica troppo purista nello scritto che non tenga conto dello sviluppo della lingua oralmente, finisce per formare un modus scribendi non più corretto, ma troppo rigido e lontanissimo dalla realtà, al punto che le persone non sapranno più scrivere. Di conseguenza, lo scritto sicuramente riflette lo sviluppo della lingua, ma a differenza della forma orale di questa, mantiene delle norme più rigide nel tentativo di preservare una correttezza, per quanto sia sicuramente difficile conciliare una lingua corretta con una lingua aggiornata. Il parlato, invece, ha una possibilità di retroazione, ovvero chi parla può aggiustare il suo discorso mentre sta parlando, può anche ripetere lo stesso concetto utilizzando parole diverse (il parlato è infatti ridondante). Diremo che utilizza, quindi, forme grammaticali più semplici e presuppone e ammette frequenti ripetizioni o paradigmi grammaticali più semplificati che lo scritto, caratterizzato da maggiore precisione, esclude.

Un elemento che il parlato possiede in più rispetto allo scritto è però senza dubbio la possibilità di esprimere il suono e l’intenzione delle parole attraverso l’intonazione. La prosodia viene interpretata dallo scritto in generale attraverso la punteggiatura, pur essendo tuttavia questa visione troppo semplicistica.

La punteggiatura può aiutare a comprendere le pause e l’intonazione di una frase, ma non può paragonarsi alla vitalità del parlato. La differenza  sostanziale fra le due forme quindi in tal senso sta nell’importanza grafica dello scritto, in cui sono fondamentali gli elementi grafici come quelli di punteggiatura. Se il parlato deve quindi soddisfare solamente la sfera uditiva, lo scritto deve per così dire “piacere” a occhi e orecchie, ovvero deve essere piacevole da leggere, ma anche da vedere, va curato da un punto di vista grafico-estetico che il parlato non ammette. Con le nuove tecnologie si sono formati anche altri elementi grafici: per esempio, ho evidenziato in questo articolo con il grassetto le parole fondamentali, mentre durante una comunicazione orale, ovviamente, userei altri mezzi. Se parlando per indicare la distanza da un argomento all’altro mi avvalgo di pause, scrivendo utilizzo per esempio degli spazi per separare gli argomenti o divido in paragrafi. Se parlando posso mostrare incertezza con grande facilità attraverso la mia intonazione, scrivendo dovrò ricorrere ad una serie di aggettivi o avverbi o magari a dei punti di sospensione. Non è un caso che il mondo del web e delle chat si avvalga, ad esempio, di emoticons o di gif per esprimere le sensazioni alla base di ciò che affermiamo.

Un’altra caratteristica preponderante del parlato è costituita dalla possibilità di feedback che offre. Infatti, il parlato presuppone un interlocutore. Quando dialoghiamo attingiamo alle conoscenze che il nostro ascoltatore possiede, ad esempio se parlo con un amico e dico “Il gatto sta dormendo”, sto dando per scontato che egli sappia che possiedo un gatto. Nel parlato abbiamo infatti:

  • Presupposizione: si dà per noto un elemento non esplicitato nel discorso. Il parlato può essere implicito;
  • Deissi: si fa riferimento al contesto in relazione al tempo o allo spazio o alle persone implicate. Se trascritte tali frasi andrebbero modificate con una serie di specificazioni.

Nello scritto può avvenire ciò in casi particolari: quando per esempio uso lo scritto per comunicare, come in una lettera o nei messaggi su WhatsApp, ma non avviene “in diretta” come nel parlato.

Chiaramente ci sarebbe molto altro da dire.  

Dedichiamo questo articolo alla memoria del prof. Luca Serianni


[1] Serianni L. Italiani scritti, Il Mulino, Bologna, 2007.

2 Commenti

  1. Articolo interessantissimo, a maggior ragione per me in questo momento vista l’esperienza che sto vivendo. Sto infatti scrivendo la sceneggiatura cinematografica di un mio romanzo scritto e pubblicato alcuni anni fa. E uno degli aspetti più complessi, ma anche più stimolanti, del lavoro consiste nella rielaborazione dei dialoghi per portarli dal linguaggio tipico del romanzo a un linguaggio che risulti credibile come parlato dai personaggi del film.

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