27 marzo 2020. In una piazza San Pietro completamente deserta Papa Francesco concede, per la prima volta in assoluto fuori dai contesti standard, l’indulgenza plenaria. Pochi istanti più tardi, dal Quirinale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella parla alla nazione.
Pagine di storia, pioggia in sottofondo, Roma teatro del mondo. Eventi inimmaginabili ed inediti, trasmessi mediaticamente in un’Italia in preda alla paura da COVID-19, un nemico invisibile e reale che sta bloccando il Paese e agitando le fragili anime del suo popolo.
Ore 18:00. Il buio avvolge i confini tra la Capitale e Città del Vaticano, illuminata dal bagliore di via della Conciliazione e da infuocati calderoni posti sull’asfalto: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”. Con queste parole (estratte da un’ampia omelia) il Santo Padre, diviso tra le preghiere al cospetto della Salus Populi Romani – rappresentazione sacra della Madonna custodita nella basilica di Santa Maria Maggiore – e il crocefisso di San Marcello, portato in processione durante la “grande peste” che tormentò Roma nel 1522, illustra il presente e lo stato d’animo che alberga attualmente nei nostri cuori.
Egli vive la sua “solitudine” in un’atmosfera biblica, segnata da un diluvio scrosciante e dal tintinnio delle campane vaticane, alle quali fanno eco delle ruggenti sirene in lontananza. La voce del popolo che risponde. Il monito è quello di ricercare “nuove forme di fraternità, di ospitalità e di solidarietà” in un momento profondamente drammatico, in cui chiunque è una potenziale vittima dell’incertezza e dell’esitazione.
“Ora, mentre stiamo in mare agitato ti imploriamo: svegliati Signore, […] non lasciarci in balia della tempesta”. La supplica e la benedizione Urbi et Orbi – una consuetudine in poche e prestabilite occasioni – si levano dal meraviglioso colonnato di piazza San Pietro e risuona sovente nei quattro angoli della Terra.
Ore 19:00. Si accendono i riflettori sul Quirinale, la pioggia batte forte sui vetri, il lume della storica scrivania del Capo dello Stato ravviva i colori dello stendardo presidenziale, del tricolore italiano e del vessillo europeo: “Mi permetto nuovamente, care concittadine e cari concittadini, di rivolgermi a voi, nel corso di questa difficile emergenza, per condividere alcune riflessioni. Ne avverto il dovere. La prima si traduce in un pensiero rivolto alle persone che hanno perso la vita a causa di questa epidemia; e ai loro familiari. Il dolore del distacco è stato ingigantito dalla sofferenza di non poter essere loro vicini e dalla tristezza dell’impossibilità di celebrare, come dovuto, il commiato dalle comunità di cui erano parte. Comunità che sono duramente impoverite dalla loro scomparsa”.
“Sono indispensabiliulteriori iniziative comuni – prosegue in maniera risoluta il Presidente della Repubblica – superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse”.
Sergio Mattarella batte virtualmente i pugni sul tavolo dell’Ue, in linea con quanto dichiarato in settimana dal premier Giuseppe Conte: “Se aiuti saranno come in passato facciamo da soli”. Il Vecchio Continente sta vivendo un momento abbastanza delicato: l’Europa rischia di sgretolarsi sotto i colpi del Coronavirus e di suddividersi in svariati blocchi; una realtà parzialmente in atto, che vede schierati da un lato i Paesi pro-condivisione del debito, capitanati da Italia e Spagna, e dall’altro Olanda, Finlandia, Germania e Austria, già infuriati per la sospensione del Patto di Stabilità. In un simile contesto, lasciatecelo dire, non può che avvertirsi l’assenza di una figura influente e preparata come quella di Mario Draghi.
La stessa aura di prestigio e competenza riveste anche il personaggio Mattarella, a cui va a sommarsi un lato umano – tutt’altro che impensabile – visibile in un fuorionda erroneamente inoltrato ai media, dove l’inquilino del Colle si giustifica con il direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica per la comparsa di un “ciuffetto ribelle”: “Giovanni (Grasso, ndr), non vado dal barbiere neanche io”. Un siparietto al quale fa seguito un sincero “mi dispiace”: merce rara al giorno d’oggi.
“Mentre provvediamo ad applicare, con tempestività ed efficacia, gli strumenti contro le difficoltà economiche – conclude – dobbiamo iniziare a pensare al dopo emergenza: alle iniziative e alle modalità per rilanciare, gradualmente, la nostra vita sociale e la nostra economia. Nella ricostruzione il nostro popolo ha sempre saputo esprimere il meglio di sé“. Un gigante. Sempre.
27 marzo 2050. In una biblioteca di Roma un adolescente sfoglia le pagine di un libro di storia ingiallite dal tempo: “COVID-19, 30 anni fa l’intervento dei big”.