In questo tempo di guerra è raro sentire buone notizie nei telegiornali, motivo per cui, quando ne giunge una, benché piccola in confronto a quelle che tutti desidereremmo ricevere, vale la pena di sottolinearla.
La notizia apparsa da qualche giorno è che i lavori di ricostruzione della cattedrale parigina di Notre-Dame procedono velocemente e che se ne prevede il completamento entro il 2024.
Dire che la notizia dell’incendio che il 15 aprile 2019 ha semidistrutto Notre-Dame mi provocò un fortissimo senso di sconforto può apparire una più che ovvia banalità. Ma un più profondo sconforto lo avvertii dopo circa un anno quando, recatomi a Parigi, vidi ciò che rimaneva della cattedrale dopo l’infausto evento. Vi giunsi che già era buio; la piazza era interamente transennata e non illuminata. Volgendo lo sguardo verso l’alto Notre-Dame appariva come una mole gigantesca, sinistra e semidistrutta, nera e incombente che si stagliava sul cielo nonostante l’oscurità. Turbato da quella visione, tanto contrastante con il ricordo che di quel luogo conservavo dalle precedenti visite, mi allontanai e attraversai rapidamente la Senna per immergermi nel traffico, nelle luci e nei colori di Rue de Rivoli.
Le sensazioni avvertite in quell’occasione mi hanno reso più interessato al dibattito sviluppatosi in Francia, e non solo, sulla ricostruzione della cattedrale. Già a due anni e mezzo di distanza dall’incendio fui soddisfatto che avesse prevalso il progetto dell’architetto Philippe Villeneuve che prevede la ricostruzione di Notre-Dame esattamente com’era.
Per giustificare soluzioni diverse si disse che la costruzione della cattedrale ebbe inizio in epoca medievale, che nel corso di otto secoli subì numerose trasformazioni fra le quali l’installazione della guglia risalente al XIX secolo. Perché dunque non apportare nuove modifiche tali da lasciare sul monumento anche il segno del nostro tempo? In un primo momento sembrò aderire a tale ordine idee lo stesso Presidente Macron, che indisse un concorso di idee aperto a progettisti e architetti di tutto il mondo.
Ma alla fine ha prevalso la linea più conservatrice che, a mio modestissimo avviso, appare la più corretta. Dobbiamo infatti considerare che l’immagine che ognuno di noi conserva della cattedrale è quella rimandata dalla fotografia, dal cinema, dalla televisione, mezzi che esistono da poco più o poco meno di un secolo. Quella è l’immagine di Notre-Dame impressa nella memoria collettiva di tutto il mondo e quella ritengo debba essere conservata a cominciare dall’iconica guglia ottocentesca.
In altri termini credo che la ricostruzione di Notre-Dame non debba essere la vetrina di qualche archistar in cerca di maggiore visibilità, ma la conservazione della memoria collettiva di uno dei più pregevoli esempi dell’arte gotica e, al contempo, dei più significativi simboli delle radici cristiane dell’Europa. Di quell’Europa che anche grazie alle sue radici e alla conservazione del suo straordinario patrimonio artistico intende affermare e difendere la propria identità.
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