“Non spegnerete la nostra voce”: l’arresto di Cecilia Sala e l’ombra del carcere di Evin

Immaginate di trovarvi in una cella fredda, lontani da casa, sapendo che il mondo là fuori combatte per riportarvi alla libertà. È questa la realtà che Cecilia Sala, una delle voci più brillanti del giornalismo italiano, sta affrontando nel carcere iraniano di Evin. Arrestata a Teheran il 19 dicembre 2024, la sua storia ci riporta a un altro doloroso capitolo recente: quello di Alessia Piperno, detenuta nello stesso luogo nel 2022. Due vicende diverse, ma unite da un destino comune: il confronto con un regime che soffoca la libertà.

Cecilia Sala: la voce che raccontava l’Iran

Cecilia Sala, 29 anni, è nota per il suo stile narrativo incisivo e per la capacità di trasformare storie complesse in racconti umani. In Iran, dove era entrata con un regolare visto giornalistico, stava documentando le tensioni sociali e politiche di un Paese in fermento. Il giorno prima dell’arresto, aveva pubblicato un podcast che raccontava la vicenda di una comica iraniana incarcerata. Un atto di giornalismo puro, che ha però scatenato la reazione di un regime allergico alla verità.

Le autorità iraniane non hanno ancora fornito dettagli sulle accuse contro Cecilia, ma la scelta di trasferirla a Evin, il famigerato carcere di Teheran, non è casuale. Questa struttura è da decenni il simbolo della repressione: qui vengono rinchiusi dissidenti politici, attivisti e giornalisti, spesso senza un processo equo. Le condizioni sono brutali, con torture psicologiche e fisiche che mirano a spezzare la volontà dei detenuti.

Alessia Piperno: l’angoscia di un’esperienza condivisa

Due anni prima, nel settembre 2022, Alessia Piperno, una giovane travel blogger italiana, veniva arrestata mentre si trovava in Iran durante le proteste per Mahsa Amini. Amini era morta sotto custodia della polizia morale, un evento che aveva acceso la rabbia del popolo iraniano, portando milioni di persone in piazza. Alessia, accusata di partecipazione alle proteste, è stata detenuta per 45 giorni a Evin, condividendo una cella con altre donne che, come lei, avevano sfidato il regime.

Le sue parole, dopo il rilascio, sono una testimonianza potente: “Evin non è solo un carcere. È un luogo dove ti senti dimenticato dal mondo.” Oggi, Alessia ha espresso pubblicamente solidarietà per Cecilia, ricordando il dolore e la paura vissuti in quelle mura, “un angolo d’inferno sulla terra”.

Evin: l’ombra lunga della repressione iraniana

Il carcere di Evin, costruito negli anni ’70, si estende su 43 ettari ai piedi delle montagne a nord di Teheran ed era gestito dalla Savak, la polizia segreta che rispondeva al regime dell’ultimo Shah, Mohammad Reza Pahlavi. È divenuto rapidamente il simbolo della brutalità del regime iraniano. 

Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato le condizioni dei detenuti: celle sovraffollate, assenza di cure mediche, interrogatori estenuanti e torture. È un luogo dove il diritto umano fondamentale – la dignità – viene calpestato quotidianamente.

Le storie di Cecilia Sala e Alessia Piperno si inseriscono in un contesto più ampio di repressione. Giornalisti come Cecilia sono considerati una minaccia dal regime, poiché portano alla luce storie che questo vorrebbe mantenere nell’ombra. Allo stesso modo, viaggiatori come Alessia, apparentemente estranei alla politica, possono diventare bersagli per inviare messaggi di intimidazione al mondo.

L’Italia e il dovere della diplomazia

Il governo italiano, già dimostratosi efficace nel caso Piperno, sta lavorando attraverso la Farnesina per ottenere il rilascio di Cecilia Sala. Tuttavia, il contesto internazionale è ora più complesso: le tensioni tra Iran e Occidente si sono aggravate, e il regime potrebbe usare Cecilia come pedina in un gioco diplomatico.

La pressione mediatica è essenziale. Durante la detenzione di Alessia Piperno, il sostegno pubblico ha avuto un ruolo determinante nel velocizzare le operazioni diplomatiche. Per Cecilia Sala, ogni giorno trascorso a Evin è una battaglia contro il tempo: «Sto bene, ma fate presto», ha detto ai suoi genitori in una delle due telefonate che le sono state concesse.

Il suo rientro in Italia dopo aver registrato alcune puntate del suo podcast Stories era previsto per il 20 dicembre, ma dal giorno precedente il suo telefono non ha più comunicato ed è subito scattato l’allarme. Sui social, prima dell’arresto, la giornalista aveva postato un video in cui raccontava la vita quotidiana a Teheran e mostrava alcune donne che camminavano senza velo per le strade: «Molte donne qui non indossano più il velo, o non come dovrebbe essere indossato secondo legge, e non temono le telecamere cinesi che scannerizzano volti e inviano immagini alla polizia». È proprio questo atto contro legge, gravissimo, come se avesse incitato alla prostituzione o avesse dichiarato guerra a Dio, che le è costato il soggiorno nell’inferno.

L’unica ad averla incontrata dopo il suo arresto è stata Paola Amadei, ambasciatrice italiana in Iran. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che i servizi di intelligence sono in continuo contatto con Teheran per ottenere una spiegazione. Ha parlato del caso Sala anche a Zona Bianca su Rete 4. Ha dichiarato che non è possibile prevedere i tempi di rilascio della giornalista, sottolineando però che il governo italiano sta facendo tutto il necessario per riportarla a casa quanto prima. Ha aggiunto che, sebbene la situazione sia complessa, sembra poter esserci una certa disponibilità da parte degli iraniani ad avere un dialogo aperto

Nonostante questo, è bene ricordarsi che si tratta di una trattativa delicata e che non dipende solo dall’Italia. Il riferimento sottointeso del ministro è al caso di Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano arrestato a Milano il 16 dicembre su mandato degli Stati Uniti. La magistratura italiana sta valutando se procedere con l’estradizione (richiesta dagli iraniani in cambio di Cecilia Sala) di Abedini, accusato di crimini come la cospirazione e il supporto alle Guardie della rivoluzione iraniana. Il governo italiano, per ottenere la liberazione di Cecilia Sala, sta valutando anche l’ipotesi di uno scambio di prigionieri. 

A livello internazionale, gli Stati Uniti hanno fatto sentire la loro voce, chiedendo all’Iran il rilascio immediato e incondizionato di tutti i detenuti ingiustamente, tra cui Cecilia Sala. Il Dipartimento di Stato ha ribadito che ad oggi l’Iran continua a detenere cittadini di vari Paesi senza giusta causa, usandoli come leva politica. Gli Stati Uniti hanno sottolineato anche l’importanza di proteggere i giornalisti, che svolgono un ruolo cruciale per l’informazione.

Due storie, un destino comune

Nonostante le differenze tra le due vicende, il comune denominatore è uno: il carcere di Evin e la macchina repressiva iraniana. Alessia Piperno, a distanza di due anni, ha espresso solidarietà verso Cecilia Sala, ricordando l’angoscia e la paura vissute in quelle mura. “La penso sempre, le sono vicino, ma sono certa che l’Italia non la abbondonerà” ha dichiarato Alessia in un’intervista recente.

Le storie di Alessia e Cecilia non sono isolate. Sono parte di un sistema che mira a soffocare ogni forma di dissenso, sia esso espresso con un post sui social o con un reportage giornalistico. Eppure, sono anche storie di resistenza: di donne che, nonostante tutto, continuano a lottare per i propri ideali.

Un appello alla solidarietà

L’Italia intera guarda con apprensione alla sorte di Cecilia Sala. Il suo arresto non è solo un attacco alla libertà di stampa, ma un colpo al cuore di tutti coloro che credono nei valori democratici. È il momento di unire le forze: il sostegno pubblico e mediatico può fare la differenza, come dimostrato dal caso Piperno.

La solidarietà verso Cecilia è un atto dovuto, non solo per riportarla a casa, ma per ribadire che nessun regime potrà mai spegnere la sete di libertà. Ogni giorno trascorso a Evin è un giorno di troppo. La voce di Cecilia deve tornare a raccontare, perché il mondo ha bisogno di giornalisti che abbiano il coraggio di vedere, ascoltare e denunciare.

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