Non basta morire, bisogna raccontare: la Resistenza sinta a Più libri più liberi

Il giorno 9 dicembre, davanti alla sala Polaris della Nuvola di Fuksas – ormai location di riferimento per la Fiera Nazionale della piccola e media editoria Più libri più liberi – c’è una piccola folla in attesa. L’evento in programma si intitola “Prima che chiudiate gli occhi, presentazione del libro di Morena Pedriali Errani”. 

Dell’autrice si sa ancora poco, sebbene abbia tutte le carte in regola per diventare un astro nascente della letteratura italiana; ciò che attira il pubblico all’interno della sala, che si riempie velocemente, è la trama del romanzo di Pedriali Errani.

Introdotta dall’editore Giulio Perrone e affiancata durante l’evento dalla scrittrice Lisa Ginzburg (nipote dei più noti Leone e Natalia) e Maura Gancitano, saggista e opinionista, Morena Pedriali Errani racconta la storia di una cultura che agli italiani vive accanto da seicento anni, senza però essere riconosciuta come minoranza etnica: quella sinta.

Il romanzo è ispirato alla storia di Fiamma, nonna dell’autrice, sinta circense che da giovanissima si ritrova in una guerra non sua, costretta da un popolo che non la vuole a scegliere una parte. 

Ma è anche la storia della sua comunità, e, allargandoci, di una popolazione intera. La partecipazione dei rom e sinti alla Resistenza partigiana italiana è sempre stata esclusa dai libri di storia. Vittime delle leggi raziali, sono stati deportati a migliaia in campi di concentramento fascisti creati appositamente per loro, poi addirittura spediti nei campi di sterminio. 

Jezebel, protagonista del romanzo, è ancora piccola quando la sua grande famiglia circense viene smembrata, impedendole in questo modo di continuare a fare il proprio lavoro. Orfana di una madre della quale non sa niente, la bambina ha da sempre un legame viscerale con il padre, violinista narratore di favole e leggende rom, che nel libro entrano di prepotenza, quasi a voler testimoniare l’esistenza di una cultura troppo a lungo ignorata. 

“Da anni i campi rom in questo paese sono chiamati campi nomadi, ma è una definizione errata: noi sinti viviamo in Italia da seicento anni, e non c’è niente di nomade in tutto ciò”, dice Morena che, oltre a essere un’artista circense, è anche attivista per le minoranze romanì e parte del team comunicazione di Movimento Kethane.

Jezebel, suo padre e pochi altri vengono confinati inizialmente in una campagna desolata, dove soffrono la fame senza poter leggere notizie sulla guerra in corso. Ma Jezebel è curiosa, coraggiosa. E si fa strada nei dintorni della zona, oltre le kampine, per vedere parti di quel mondo che le è da sempre negato: l’interno di una chiesa, le vie di un paese, un ragazzino italiano con un ciuffo color rame che la tradirà.

Accompagnata dal vento, dalla terra, dagli elementi che la sua cultura rispetta e che la nostra trascura; noi e loro, un dualismo doloroso ed eterno che accompagna Jezebel per l’intera narrazione, destinato a rimanere irrisolto.

“Prima che chiudiate gli occhi”, come dice Pedriali Errani, è un invito a ricacciare indietro la tentazione dell’indifferenza, ma anche una preghiera. Perché il canto di un popolo non sia mai l’ultimo.

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