La coalizione di Centrodestra si conferma, il Pd si rafforza. Le strategie dei partiti italiani in vista del rinnovo della Commissione europea
Le elezioni europee hanno dato i loro verdetti. Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno saputo incarnare bene le due anime del Paese, riscoprendosi bipolare dopo la lunga parentesi in cui si era aggiunto il M5S, e si avviano a rafforzare la loro leadership. Lasciando margini a tutti i partiti italiani su differenti strategie nelle alleanze che verranno nel Parlamento europeo. E dando un assist alla riconferma della Von der Leyen.
«Ci hanno visto arrivare, ma non sono stati in grado di fermarci». Giorgia Meloni non nasconde la soddisfazione sul palco del comitato elettorale all’Hotel Parco dei Principi nelle prime ore del mattino post elezioni europee. La citazione, non a caso, è quella della Schlein quando vinse le primarie. Fratelli d’Italia fa il pieno di voti (28,8%) e di preferenze grazie alla forza trainante della premier, prima per distacco in tutte le circoscrizioni: ben 607mila in quella nord occidentale e 542mila in quella meridionale per esempio. Come il migliore Berlusconi dunque. Ma c’è di più. Il numero dei voti totali dei FdI sono in linea con le politiche del 2022, dimostrando una resistenza non indifferente alla prova di governo.
La strategia nel Parlamento europeo dipenderà molto da come evolveranno le alleanze a Strasburgo. La permanenza nell’Ecr, partito dei conservatori e riformisti con gli spagnoli di Vox e i polacchi di Diritto e Giustizia, è scontata. Se Ursula Von der Leyen punterà al secondo mandato a capo della Commissione, la Meloni potrebbe appoggiarla anche senza entrare nell’alleanza popolari-socialisti. La vicinanza tra le due è stata evidente negli ultimi mesi e la Premier potrebbe massimizzare la vittoria chiedendo condizioni migliori per l’Italia su diversi aspetti: patto di stabilità, dilazione dei tempi del Green Deal e termini del Pnrr, politiche migratorie comuni. Sarebbe un assist perfetto per togliere argomenti alle opposizioni in futuro.
Le opposizioni, appunto. A sinistra si sta profilando una netta supremazia del Pd rispetto agli alleati, avendo raggiunto il 24%. Notevole l’aumento rispetto alle elezioni europee del 2019 quando si era fermato al 19%. La tornata elettorale ha dimostrato che la strutturazione territoriale dei democratici fa ancora la differenza, con gli amministratori locali a trainare (vedi Decaro e Bonaccini). Eppure non è deludente il risultato della candidatura-pilota della stessa Schlein solo nel centro e isole (206mila preferenze). Il Pd si collocherà saldamente nel gruppo del Partito Socialista europeo, confermando sicuramente la Presidente di Commissione uscente.
Forza Italia si conferma, un po’ a sorpresa. Le posizioni moderate del Ministro degli Esteri Tajani sono state premiate per la loro coerenza e serietà, anche in contrapposizione alle ‘sparate’ di qualche leader europeo favorevole all’invio di truppe in Ucraina. Il Ppe rimane lo spazio ideale dei forzisti, insieme con i socialdemocratici di S&D e i liberali di Renew Europe.
Alleanza Verdi e Sinistra arriva al 6,7%, conquistando un risultato sorprendente soprattutto grazie al voto degli under 25 delle elezioni europee e delle preferenze raccolte da Ilaria Salis e dal suo caso giudiziario. Il gruppo di riferimento sarà quello dei Verdi/Alleanza libera europea, anch’esso possibile nuovo ingresso nella squadra in appoggio alla Von der Leyen.
Ma come tutte le competizioni, non possono mancare gli sconfitti. La Lega arranca con il 9%, nonostante un indubbio ‘effetto Vannacci’ (500mila preferenze). Salvini è in difficoltà, ma la sua posizione potrebbe reggere in considerazione dei dati: gli amministratori locali nel lombardo-veneto non hanno più la maggioranza. La caduta del feudo di Pontida dopo vent’anni fa molto rumore tra gli elettori storici. Le strategie in Europa? In mano alla Le Pen. Solo la leader del Rassemblement National potrebbe dare uno spazio di manovra all’interno del gruppo Identità e Democrazia a Strasburgo. Dopotutto il fronte della destra europea dopo le elezioni europee, su posizioni filo-russe e anti-unificazione, non è stato mai così forte nel cuore economico (Germania) e politico (Francia) del Vecchio Continente.
Il Movimento 5 Stelle continua invece nella spirare di dissoluzione. Il «potevamo fare di meglio» di Conte all’indomani del voto è parsa la versione adattata di una massima di un famoso allenatore: «Chi vince festeggia, chi perde spiega». Nella sede romana di via Campo Marzio il leader pentastellato non nasconde la delusione di un risultato delle elezioni europee (sotto il 10%). Non credibile evidentemente la sua guerriglia continua con il Pd e il pacifismo senza se e senza ma. Il collocamento del Movimento è quanto mai un rebus. Se nel 2019 non si allearono con nessuno, oggi potrebbero collaborare con Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) – partito tedesco di estrema sinistra filorusso e lo Smer del premier slovacco Robert Fico.
La somma in politica non è quasi mai razionale. Sono infatti rimasti fuori dai giochi Stati Uniti d’Europa (Italia Viva di Renzi, +Europa, Libdem, Radicali Italiani, L’Italia c’è) con il 3,8% e Azione-Siamo Europei (Calenda) con il 3,4%. La scissione dell’atomo non premia nell’epoca delle grandi coalizioni.