Il 19 settembre scorso il Parlamento europeo, dopo la plenaria, con votazione di maggioranza, ha equiparato Nazismo e Comunismo, in quanto regimi totalitari, risoluzione votata da tutti i gruppi politici europei, dai socialisti alla destra e da tutti i partiti italiani dal Pd, alla Lega e Fratelli d’Italia con la sola astensione del M5s.
Esattamente con 535 voti a favore, 66 contro e 52 astenuti, si è così espresso l’organo collegiale richiamando già il fatto “che in alcuni Stati membri la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”, appunto equiparandole.
Una notizia ancor più rilevante in casa nostra per il voto positivo di 13 deputati del Partito Democratico (erano 14, prima che Pietro Bartolo cambiasse il suo voto, scusandosi con i suoi elettori), essendo erede diretto di un’esperienza politica conosciuta fino al 1991 come Partito comunista italiano. Anche se Pierfrancesco Majorino ha votato contro per “evitare banalizzazioni pericolose ” e Massimiliano Smeriglio, ex braccio destro di Zingaretti, ha votato no, definendo il testo “confuso e contraddittorio “.
Nota di costume, il voto positivo di Giuliano Pisapia, ex Rifondazione Comunista, ampiamente criticato e tacciato di tradimento. Lui si giustifica sostenendo come non si potesse votare contro “una giornata per le vittime dei regimi totalitari “.
Come dargli torto, buontempone. Quindi non è stato possibile nessun attacco diretto ai sovranisti o ai liberali, creando il primo corto circuito della stagione.
LA SINTESI
Da quattro diverse proposte di risoluzione, presentate rispettivamente da Ppe, S&D, Renew ed Ecr, (il centrodestra, il centrosinistra, i liberali e i sovranisti europei), è arrivata la sintesi del testo definitivo, per il momento senza valore legislativo, ma incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, alla Duma russa e ai parlamenti dei paesi del partenariato orientale.
Un documento politico senza dirette conseguenze giuridiche, per il momento.
Così facendo il Parlamento Europeo (…) ha invitato tutti gli Stati membri dell’UE a formulare una valutazione chiara e fondata su princìpi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista, proponendo inoltre un nuovo asse ideologicoformativo come obiettivo della Comunità Europea, ad esempio, invitando: a celebrare il 23 agosto come la Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari a livello sia nazionale che dell’UE e a sensibilizzare le generazioni più giovani su questi temi inserendo la storia e l’analisi delle conseguenze dei regimi totalitari nei programmi didattici e nei libri di testo di tutte le scuole dell’Unione.
Una rivoluzione culturale, in teoria, revisionismo storico, in pratica.
Una profonda rivalutazione della Storia recente, tale da modificare i percorsi didattici nelle scuole. Impensabile fino a qualche anno fa, socialmente condannabile fino a qualche mese fa.
Eppure questo atto è passato in sordina, aldilà delle polemiche interne legate al Partito Democratico. Strano.
Il focus è tutto sull’idealtipo legato allo stalinismo più che al comunismo, ma la risoluzione è chiara a riguardo, tant’è che l’ANPI ha già fatto sentire la propria voce mostrando preoccupazione dato che “si accomunano oppressi ed oppressori, vittime e carnefici, pretendendo un distinguo nella fattispecie italiana, ivi compresa la figura di Palmiro Togliatti, considerato un “eroe” del comunismo ed invece, secondo la nuova interpretazione, potrebbe essere più un “errore” nella ri-valutazione storica. Intanto il gruppo Visegrad ringrazia sentitamente.
Dicevamo, non è più solo un’ipotesi che avanza, è un documento approvato a maggioranza dalla più alta istituzione europea nell’intento di unire i popoli nell’affermazione di una cultura della memoria condivisa, considerando che, dopo la sconfitta del regime nazista e la fine della Seconda guerra mondiale, alcuni paesi europei sono riusciti a procedere alla ricostruzione e a intraprendere un processo di riconciliazione, mentre per mezzo secolo altri paesi europei sono rimasti assoggettati a dittature, alcuni dei quali direttamente occupati dall’Unione sovietica o soggetti alla sua influenza, e hanno continuato a essere privati della libertà, della sovranità, della dignità, dei diritti umani e dello sviluppo socioeconomico.
E ribadendo che, sebbene i crimini del regime nazista siano stati giudicati e puniti attraverso i processi di Norimberga, vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature.
Ma davvero l’Europa chiede di iniziare un nuovo processo di riforma scolastica, oltre che storicoculturale, una nuova elaborazione dei processi storici e riprogrammare lo storytelling contemporaneo bandendo tutti i simboli dei totalitarismi, compresa “falce e martello” ad esempio? E’ davvero possibile? Ditelo a Vauro. Infatti tra le sezioni che hanno suscitato più clamore c’è l’inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti.
In pratica niente fasci di grano, niente pugno alzato. Con buona pace anche del Presidente Roberto Fico che nel giorno della festa della Repubblica, il 2 Giugno scorso, era stato ambiguo. Poi ha chiarito ad Atreju. Coraggioso.
Chissà se gli amici di sinistra-sinistra – per usare una similitudine semantica – tornerebbero a disobbedire travestendosi da Armata Rossa.
Fantastichiamo, ma è come se avessero dimenticato la porta del congelatore aperta e quello che doveva rimanere frizzato nella memoria si sta scongelando, riesumando porzioni di storia avariate.
La prima obiezione avanzata dai nostalgici della Resistenza è stata la risoluzione del 12 maggio 2005 sul sessantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale in Europa, dove l’URSS veniva ringraziata del lavoro svolto per contrastare il nazismo. Bene.
Ma qualcuno ha ignorato altre premesse del documento, non ultima la dichiarazione rilasciata dal primo Vicepresidente Timmermans e dalla Commissaria Jourová il 22 agosto 2019, alla vigilia della Giornata europea di commemorazione delle vittime di tutti i regimi totalitari e autoritari.
Senza scomodare (seppur citata nel testo UE) la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite adottata il 10 dicembre 1948, ne riporto qualcuna tra le più rilevanti che hanno pesato sulla decisone finale degli eurodeputati, un percorso che parte da lontano e che oggi mette di fronte ad una verità storica inequivocabile, seppur soggetta ad interpretazioni, come tutta la Storia del resto:
– vista la risoluzione 1481 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, del 26 gennaio 2006, relativa alla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi totalitari comunisti,
– vista la Dichiarazione di Praga sulla coscienza europea e il comunismo, adottata il 3 giugno 2008,
– vista la sua risoluzione del 2 aprile 2009 su coscienza europea e totalitarismo,
– vista la relazione della Commissione del 22 dicembre 2010 sulla memoria dei crimini commessi dai regimi totalitari in Europa (COM(2010)0783),
– viste le conclusioni del Consiglio del 9-10 giugno 2011 sulla memoria dei crimini commessi dai regimi totalitari in Europa,
– vista la Dichiarazione di Varsavia del 23 agosto 2011 sulla Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari,
– vista la dichiarazione congiunta del 23 agosto 2018 dei rappresentanti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea per commemorare le vittime del comunismo,
– viste le risoluzioni e le dichiarazioni sui crimini dei regimi totalitari comunisti, adottate da vari parlamenti nazionali,
il Parlamento incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, alla Duma russa e ai parlamenti dei paesi del paternariato orientale.
È chiara l’equiparazione dei “regimi totalitari”, oltre alla specifica dichiarazione del 2006 e del 2018, dove viene menzionato il comunismo.
L’ANTEFATTO STORICO
Ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica comunista e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, il che ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”.
Un equivoco o un evento determinante? Qualcuno parla di falso storico.
La posizione dell’URSS fu necessaria, dato che gli Stati europei fecero di tutto per spostare le mire di Hitler verso Est, senza prendere posizione chiara, fino a che Stalin e Churchill si allearono dopo una sbronza insieme, in una notte d’agosto del 1942, durante l’operazione Bracelet.
L’avessimo presa noi italiani una sbronza e poi a nanna, invece di fare i “duri e puri” con gli amici tedeschi, magari avremmo cambiato davvero la storia.
Ma in fondo la guerra venne dichiarata dalla Gran Bretagna e dalla Francia contro la Germania e non viceversa.
Poi le ostilità si aprirono dopo che Hitler invase la Polonia.
E proprio in Polonia, qualche giorno fa, abbiamo assistito alla “Marcia dell’Indipendenza”, (una manifestazione con più di 150.000 persone secondo gli organizzatori, un terzo secondo la polizia), che la destra polacca organizza da 10 anni, assorbendo di fatto la data della festa nazionale, l’11 Novembre, contrapponendosi ad altri cortei progressisti e pro-UE.
Una risposta endemica dopo anni di comunismo, figlia di una rabbia covata per troppo tempo o una leva sociale per i nuovi nazionalismi europei?
Ricordiamo ancora quel 23 agosto 1959, ricorreva il cinquantesimo anniversario del patto Molotov-Ribbentrop e le vittime dei regimi totalitari sono state commemorate nella Via Baltica, una manifestazione senza precedenti cui hanno partecipato due milioni di lituani, lettoni ed estoni, che si sono presi per mano per formare una catena umana da Vilnius a Tallinn, passando attraverso Riga.
Manifestazione che portò, da lì a sei mesi, all’indipendenza dei popoli baltici. Via dal comunismo, a fuor di popolo.
L’OSSERVAZIONE PARTECIPATA
Aldilà di tutto credo sia doveroso, per onestà intellettuale, sottolineare la variabile contemporanea.
Dietro la risoluzione del parlamento europeo potrebbe esserci una velata polemica dopo le recenti tensioni tra Mosca e Bruxelles ed aprire i lavori parlamentari con questo indirizzo politico è un modo per l’establishment europeo, capitanato dalla neo presidente della Commissione Ursula von der Leyen, di ricucire lo strappo con alcuni Paesi dell’Est. Potrebbe essere una prima lettura.
Poi c’è invece un’analisi del mercato ed una di psicologia sociale quantomeno da menzionare.
Nel primo caso va considerata l’instabilità del contesto internazionale.
E prendo in prestito le dichiarazioni del Prof, Richard Overy, storico inglese.
“Negli anni fra le due guerre la maggior parte degli statisti europei condivideva un senso di superiorità culturale e razziale che non fu un appannaggio esclusivamente tedesco” e l’imperialismo, aggiungo, era il core business dei maggiori Paesi europei.
È chiaro che Gran Bretagna e Francia sono stati i principali beneficiari del primo dopo guerra, ma per loro era già cominciato un progressivo declino, acuito dalla crisi economica, distratti intanto dalla campagna italiana d’Abissinia (Etiopia) e l’espansione del Giappone in Cina. Questione d’interessi, infondo.
Angelo D’Orsi, sul Manifesto, ha parlato di “rovescismo”, quindi è andato oltre il revisionismo accennato sopra.
Del resto, altra posizione non potevamo aspettarci, ma di certo ci sarebbe da distinguere tra il comunismo della rivoluzione d’ottobre e Lenin, il periodo stalinista e la fase totalitaria, Kruscev che ha smascherato “il culto della personalità” di Stalin ed i suoi crimini, fino a Gorbaciov ed Eltsin.
Aldilà delle posizioni partitiche, l’analisi della psicologia sociale ha già tracciato le profonde differenze tra i due totalitarismi.
Sono la “cornice di senso”, quindi il perchè della causa ed il “contesto”, quindi il come, a cavalcare la voce del dissenso per tale risoluzione.
I gulag erano una punizione per i nemici politici, cioè sapevi di essere lì per una presa di posizione politica; l’Olocausto è stata una persecuzione di razza le cui vittime hanno subìto un processo psicologico molto preciso:
– la delegittimizzazione sociale con la morte psicologica (i capelli rasati per la regressione dell’individuo ed il numero di serie per la conseguente anonima omologazione),
– la depersonalizzazione che ha portato all’obbedienza e poi all’aggregazione da docili prigionieri. Una metamorfosi collettiva alimentata dalla consapevolezza di non
– essere e dalla dissoluzione del sè. Senza tempo, senza spazio.
Il Consiglio europeo dovrà sbrogliare la matassa ed essere molto convincente, perchè se la risoluzione dovesse avere un risvolto legislativo, oltre a cambiare la storia recente, alcuni Stati dovranno anche rivedere i simboli sulle rispettive bandiere facendo i conti con il recente passato e decidere se far parte del mondo occidentale o tornare ad essere altro, contrapponendosi ancora al patto Atlantico.
Un guanto di sfida per un nuovo assetto globale o solo ingenuinità europea?
IO dico la prima ippotesi..