Sono passate alcune settimane dalla morte di Matteo Messina Denaro.
Sarebbe futile raccontare la sua vita e le sue “gesta”, conosciute da tutti, ma senza ombra di dubbio Messina Denaro rispetto ai suoi predecessori si è contraddistinto.
“Cosa nostra” e non “mafia” come puntualizzò Tommaso Buscetta durante l’interrogatorio reso difronte Giovanni Falcone, ha delle regole ben salde, tra cui: “Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo”. “Non si guardano mogli di amici nostri”. “Non si fanno comparati con gli sbirri”. “Non si frequentano né taverne e né circoli”. “Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a Cosa nostra. Anche se c’è la moglie che sta per partorire”. “Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti”. “Si deve portare rispetto alla moglie”. “Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità”. “Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie”. “Non può entrare in Cosa nostra chi ha un parente stretto nelle varie forze dell’ordine”, “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia”, e “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.
Queste regole, citate anche dallo stesso Buscetta, sono stare rinvenute nel 2007 dagli inquirenti tra i documenti del boss Salvatore Lo Piccolo.
Fedeltà assoluta, dopo la “punciuta” a “Cosa nostra” per l’intera vita, e chi non rispetta le regole va punito.
Ma c’è un’altra regola, non scritta ma tramandata, che si evince da quasi tutti gli interrogatori dei boss subito dopo l’arresto: “Negare l’appartenenza all’associazione”.
Ora, c’è chi si è chiuso in un silenzio totale come Riina o Provenzano e chi invece seppur con un linguaggio criptico in pieno stile mafioso qualcosa ha avuto modo di dirla.
Ed è proprio questo il caso di Messina Denaro.
Durante l’interrogatorio difronte al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, Messina Denaro tra contraddizioni e velatezza, ha detto tanto.
Cito un passaggio: “Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un un santo, ma con l’omicidio del bambino non c’entro”.
“Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione – spiega il boss -. Sequestrano questo bambino – quindi io sono come mandante, mandante del sequestro – sequestrano questo bambino, lui (Giovanni Brusca, ndr) non dice che c’ero io”. “Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno, due anni, dice si trova davanti a televisione ed il telegiornale dà la notizia di… che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo?
A quel punto secondo la narrazione di Messina Denaro, Brusca, fuori di sé per la condanna all’ergastolo per l’omicidio Salvo, decreta la morte del bambino. “Ma… allora, a tutta coscienza – dice Messina Denaro -, se io devo andare in quel processo, che è ormai di Cassazione, devo andare per sequestro di persona. Quindi a me perché mi mettete – non voi, il sistema – come mandante per l’omicidio, quando lui dice che poi non ci siamo visti più?” “Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese – conclude -. Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, ma per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire?”.
Durante l’interrogatori ii pm tornarono a chiedergli se c’entrasse qualcosa nella vicenda e lui ribadì di no.
In sintesi: precisa che non c’entra nulla con la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, precisa che ha partecipato esclusivamente al sequestro per poi, alla fine, negare tutto.
Questo è lo stile mafioso. Questo è il linguaggio criptico.
Dire tutto per poi negare. E sia chiaro, tecnicamente sembrano ossimori ma in realtà non lo sono.
Le atrocità di cui si è macchiato sono indicibili, certamente poteva redarguirsi ma non ha mai voluto pentirsi: “Io non mi farò mai pentito”, le parole dette a De Lucia.
Si è limitato a dire “poco” ma fortunatamente quel che può apparire “poco” è invece “tanto”, e una piccola parte, forse piccolissima, di ciò che non avremmo mai saputo adesso la conosciamo.