Ci risiamo. A poco meno di un anno di distanza torna ad aleggiare sull’Italia lo spettro di una nuova crisi di governo. Scenario invariato, attori diversi: se nella torrida estate del 2019 fu Salvini a staccare la spina all’esecutivo gialloverde tentando di passare all’incasso – piano rivelatosi poi fallimentare – in questo mite febbraio è l’altro Matteo a rendersi protagonista di una diatriba che vede contrapposti Italia Viva e Movimento 5 Stelle, con un Partito Democratico sullo sfondo a cui i panni dell’intermediario calzano leggermente stretti.
“Se io devo lavorare per realizzare il programma di governo, è una tale responsabilità che lo realizzerei mettendo da parte qualsiasi personalismo. Eventuali simpatie o antipatie non conterebbero, perché sono naturalmente portato a guardare il bene comune e l’interesse collettivo superiore” ha dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in seguito alle schermaglie avvenute in settimana tra Renzi e il M5S, scaturite dai mancati accordi sulla prescrizione.
Dal canto suo il leader di IV non arretra di un passo rispetto a quanto detto nei giorni scorsi e tenterà in ogni modo di far prevalere la sua linea; il rovescio della medaglia, tuttavia, ci consegna un partito che con le percentuali elettorali non ha avuto finora un gran feeling: difficile che il neonato movimento del senatore di Scandicci raggiunga la doppia cifra in vista di eventuali elezioni anticipate. Che sia stato un bluff architettato per intimidire un M5S già privo della fiducia di una larga fetta di italiani?
Nel frattempo Di Maio and Co., dopo aver ingaggiato un breve botta e risposta con gli “alleati” (si fa per dire), colpevoli di attuare con insistenza un’illogica micro-opposizione all’interno della maggioranza, fanno orecchie da mercante: l’ex capo politico del M5S ha riunito i suoi in occasione della manifestazione #MaiPiùVitalizi; un ritorno al passato, un escamotage in salsa antipolitica risalente ai vecchi tempi in cui ogni singolo “vaffa” corrispondeva ad un voto guadagnato. Tuttavia la domanda sorge spontanea: ma i pentastellati sono ancora al governo? In oltre 70 anni di storia repubblicana non era mai successo che il partito di maggioranza relativa in Parlamento, nonché parte integrante dell’esecutivo, scendesse in piazza in segno di protesta contro la famigerata “casta”. Un paradossale controsenso che sa tanto di prove generali di fortificazione in vista di una tornata elettorale che se non sembra essere imminente poco ci manca.
E mentre tra Montecitorio e Palazzo Madama i ddl sfiorano il minimo storico, il PD mostra un’apparente, molto apparente, calma serafica: il rischio di ritrovarsi a competere con un futuro governo a trazione leghista, spinto dalla crescita costante di Fratelli d’Italia, è quanto mai concreto. Chi non resta a guardare è il Quirinale che, in attesa dei classici risvolti del caso, è in contatto costante con Palazzo Chigi: qualora la crisi di governo dovesse repentinamente divenire realtà si tornerebbe alle urne non prima del prossimo autunno. Basta una notte, una sola a far cambiare il corso della storia: se Renzi ne è consapevole, l’insonnia di Conte funge da principale testimonianza.