Lo Statuto albertino

Lo Statuto albertino è una costituzione non-rigida, ottriata (cioè concessa per volere del sovrano) emanata da Carlo Alberto per il Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 e che rimase in vigore per il Regno d’Italia fino alla proclamazione della repubblica e che subì, in quanto tipo di costituzione non-rigida, profonde modifiche dopo la nomina a Capo del Governo di Benito Mussolini all’indomani della Marcia su Roma.

L’emanazione nel 1848 avvenne sulla scia dell’adozione di provvedimenti analoghi da parte di altri sovrani italiani ma, a differenza di quanto accaduto diversi anni prima, Carlo Alberto non la ritirò a seguito della capitolazione dinnanzi agli asburgici preferendo, per non cedere su questo e altri punti, abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Il 12 gennaio di quello stesso 1848 Ferdinando II di Borbone per contenere la spinta insurrezionale aveva promulgato una costituzione, seguito da Leopoldo II in Toscana e Pio IX a Roma, quindi da Carlo Alberto, il quale, però, aveva nominato già nel mese di Febbraio un’apposita Consulta per redigerne il testo. 

Lo Statuto albertino aveva come base la Costituzione che in Francia era stata emanata da Luigi XVIII nel 1814 insediato sul trono e modificata nel 1830 dalla Rivoluzione che insediò Luigi Filippo.

Massimo organo era quello monarchico, il potere legislativo era conferito al Re, al Senato (organo consultivo della Monarchia composto da membri che si erano distinti per meriti o capacità e che provenivano da categorie quali, ad esempio, alti prelati, alti funzionari dello Stato, ministri, deputati, grandi benefattori dello Stato, ecc.) e alla Camera dei Deputati (organo elettivo). Le cariche parlamentari non erano retribuite e le camere, come negli altri Stati di allora ed odierni, avevano funzioni diverse (oggi viviamo in un sistema parlamentare che viene detto “bicameralismo perfetto”, nel quale, cioè, le due camere hanno le identiche funzioni tanto che si è proposto diverse volte di differenziarne le funzioni o sopprimerne una). 

Il potere esecutivo spettava al Re che nominava i ministri come anche il potere giudiziario, in quanto era il Re a nominare i giudici che amministravano la giustizia in suo nome.

Già negli anni successivi, però, la funzione di governo del monarca andò diminuendo per accentuare quella del Primo ministro che doveva non più godere della fiducia del re bensì di quella del Parlamento, un Parlamento che, per mancanza di strumenti di autotutela della costituzione, poteva operare un cambiamento della stessa con semplici provvedimenti legislativi: quello che accadde dopo la Marcia su Roma e per questo motivo nel dopoguerra si scelse una forma di costituzione rigida.

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