Leggere Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis
di Nicola Curti
Nel 1942, la collana mondadoriana dello Specchio, dopo una breve partenza con alcune opere di narrativa, si specializzava nella poesia, avviandosi a diventare una colonna portante della divulgazione della lirica italiana. Tra i primi rappresentanti dello Specchio ci furono autori come Quasimodo e Ungaretti, pietre miliari della poesia novecentesca. Oggi, nonostante si stia vivendo un momento storico in cui la poesia ha tutt’altra visibilità e richiamo rispetto al Novecento, con spazi di mercato ridotti, destinati ai cosiddetti lettori forti, di nicchia, Lo Specchio è una realtà editoriale ancora viva, propositiva e aggiornata alle nuove tensioni liriche determinate dalla contemporaneità. Fra le novità del 2021, compare Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis.
Pensare al passato significa (ri)attraversare luoghi e volti che un tempo erano e oggi, non sono più. Perso, deceduto o diverso, ciò che eravamo e vivevamo ha subìto l’usura del tempo. Una metamorfosi si consuma con l’andare dei giorni: il concreto dell’esperienza muta nell’immateriale della memoria. Cosa accade al vissuto, quando sedimenta e fermenta nell’essere? Cosa rimane del bimbo, quando diventa adulto? Gli ambienti, i rapporti, il sentire e il vedere provati un tempo si trasformano in spazi psichici. Tutto ciò che è stato acquisisce la profondità data dalla distanza, cresce di peso, conquista una densità più concentrata. Il valore degli oggetti e degli eventi passati matura col tempo. Di tutto questo e di molto di più, Milo De Angelis parla in Linea intera, linea spezzata.
Mi capita spesso di pensare al lenzuolo blu, appeso alla velux della mansarda in cui ho abitato fino ai cinque anni. Lo smorzarsi della luce attraverso il tessuto svolazzante proiettava ombre di onde oceaniche sul divano. Quel lenzuolo ha visto la fatica spontanea dei miei primi passi. Lo stesso cotone blu fa da sfondo ai miei ricordi più antichi, alla prima memoria che ho del senso di colpa. Nel tempo, il lenzuolo ha acquisito uno spessore immateriale, si è imbevuto di senso e il suo significato è maturato, ha colorito di blu altre memorie, come farebbe un calzino scuro capitato in lavatrice con i panni bianchi. Oggi, se penso al mare, immagino un lenzuolo blu appeso al soffitto, e un dolore ancestrale mi trafigge la schiena, senza che io ne sappia bene il perché.
Gli oggetti, i luoghi, le persone dell’infanzia o del passato, diventati fantasmi, proiettano le loro ombre spesse, silenziose, sul presente dell’adulto che si guarda indietro. Tutta la poesia di Linea intera, linea spezzata si condensa nel voltarsi indietro dell’autore, nello sguardo atterrito di chi vede uno spettro. Milo De Angelis trasporta il lettore con sé, in una quotidianità più o meno lontana, ricca di dettagli, oggetti e personaggi datati, spesso notturni. Qualcosa – sembra dirci il poeta – è stato perduto per sempre, e la memoria è solo l’eco stanca di un nulla, il preludio di un male senza origine che tutto inghiotte. Il trascorso dell’autore pare essere risucchiato da una fenditura della Terra, come acqua in un crepaccio oceanico, mentre il poeta tenta di salvare, pietrificandoli in “per sempre”, i ricordi, che invece scivolano via, attratti da un mulinello scuro nel quale le immagini si stringono a spirale.
Il silenzio del poeta rassegnato è l’epilogo al risucchio del buio. Il dolore è l’unico sentire accessibile, è l’onda che dall’ombra del ricordo lontano si propaga nel presente dell’autore.
Dolore e silenzio, impastati insieme in una tetra armonia, seguono sotterraneamente le immagini, permangono dopo ogni ultimo verso, creando un collante nero che tiene uniti fra loro i vari componimenti. Lo spazio bianco della pagina che separa ogni poesia dalla successiva, assume quindi un significato di respiro nel silenzio, di macerazione e sedimentazione del dolore, riproposto sempre in prospettive e in tempi del vissuto diversi.
Leggendo, mi si è ripresentata una sensazione che credevo di aver dimenticato: il momento che segue la paura dei primi bui, quando si smette di dormire con i propri genitori e si passa a combattere contro la solitudine della propria cameretta; il momento di dormiveglia in cui si cerca di sciogliere ogni tensione, in cui il sonno tenta di scacciare via la paura; quando il pensiero gioca a fare l’equilibrista tra coscienza e inconscio, e le prime immagini oniriche, ancora parzialmente pilotate dalla volontà, sono avvolte nel nembo oscuro dell’angoscia. Da bambino, sapevo che lasciarmi andare, consegnarmi ai sogni fosse l’unico modo per far tacere la paura, eppure opponevo resistenza, perché era in quel lasciarmi andare che la paura si faceva più forte. Credo che la sensazione di questa tensione antitetica, notturna, di lotta fra sonno e paura, possa spiegare bene parte dell’esperienza di lettura di Linea intera, linea spezzata.
SCRUTINIO FINALE
Sei giunto alla fine dell’ultimo trimestre
e la mano solleva la polvere dal vetro
e tu guardi i voti che scintillano uno per uno
e si staccano dal foglio
e allora guardi bene, guardi esattamente
le teste inquiete nell’ombra scarlatta e tu guardi
senza una parola i voti sul cartellone e senti
che la bocca non attende più nessuna voce
e il tempo diventa una spina e può trafiggerti;
senza nome si aggregano gli spettri nel corridoio
del liceo e tutto è silenzioso nei corridoi,
tutto è silenzioso per sempre.
COMUNITÀ INCONTRO
“Ma puoi uscire qualche volta?” gli chiedo
perforando all’improvviso il silenzio,
mentre l’ombra scende sulla ghiaia
e la sua anima assetata vaga
nel cortile senza meta e anche le dalie
trattengono il respiro e il tempo
a poco a poco ci separa.
Tacciono gli antichi richiami della cena
e della madre, l’infanzia
si fa buia e non è sua
né mia, ma appartiene a una polvere diffusa
che ci avvolge e ci fa muti.
FILASTROCCA DEL NOME PERDUTO
Nel buio di un mattino te ne andrai anche tu
e scorderai le tue mani le tue frasi le tue
estati di poesia e allora te ne andrai
nel buio di un mattino e non dirai più
il tuo nome il tuo respiro il tuo gemito non
studierai più la metrica del tuo dolore e tra poco
ce ne andremo anche noi nasconderemo
i nostri volti i nostri versi i nostri vani
istanti di poesia affonderemo
nella lingua morta affonderemo nell’acqua
passata affonderemo in un punto
qualsiasi dello Scrivia e non diremo il nostro
nome il nostro respiro scritto in sillabe,
non diremo, non
diremo.
L’io lirico viaggia nel proprio tempo andato, tenta di ritrovare se stesso «nel dedalo / delle piccole convulsioni», tra parchi, supermercati, autobus e strade avvolte nella notte. Ne viene fuori una narrazione piena di volti, facce che lampeggiano intermittenti in un ampio spazio buio. Leggere Linea intera, linea spezzata è un po’ come spiare, di notte, i rettangoli di vita che s’accendono e si spengono, sfalsati, nei palazzi. Le finestre di luce possono comparire per brevi o lunghi momenti, facendo intravedere la sagoma di un padre che culla il suo bimbo o il profilo di una ragazzina davanti alla TV o l’ombra di una signora che si strizza i seni allo specchio. Così, la poesia di Milo De Angelis presenta frammenti di personaggi e vite diversi, con immagini scarne o ricche e secondo una versificazione che si adatta liberamente alle esigenze del racconto, caso per caso. L’ampia articolazione trova però la sua unitarietà nella dialettica continua fra il ricordo e il consumarsi di quest’ultimo nel nulla dell’oblio.
Qualcosa mi spinge a odiare gli ultimi versi delle poesie di De Angelis. Non so se sia per colpa della superbia della gioventù; se dipenda dal fatto che il nulla non mi interessa poi tanto, rispetto al bello della vita; o se si tratti di un’antipatia istintiva verso l’ostinato sguazzare nelle facce buie delle cose. In ogni caso, per quest’odio, forse, ritengo che le accensioni dei ricordi, le immagini nei quali la vita passata ritrova la sua profondità imbevuta di significati segreti ma presenti, siano il punto di forza della poesia di Linea intera, linea spezzata: la bellezza dello squarcio del lampo nel buio della notte.