L’Italia dice no al Mes e si allontana dall’Europa

Giovedì 21 Dicembre la Camera ha votato contro la ratifica della riforma del Mes. Il no arrivato dopo un accordo sul patto di stabilità deludente. Sotto tiro il ministro dell’economia Giorgetti.

L’assemblea dei deputati è stata chiamata a votare la ratifica della riforma del MES, il meccanismo europeo di stabilità. Con 184 voti contrari, 72 favorevoli e 44 astenuti la Camera ha rigettato la riforma. Dato che per l’entrata in vigore c’era bisogno della ratifica di tutti i paesi interessati, il no italiano ha bloccato la riforma per tutti. Il no è politicamente significativo e vale la pena scoprirne tutti i dettagli.

Cos’è il MES?

Il Meccanismo europeo di stabilità (MES – European Stability Mechanism, ESM) è un istituto  nato nel 2012 durante la crisi dei debiti sovrani, una sorta di “salvadanaio” comune per far fronte alle tensioni sui mercati europei. Il MES non fa parte dei trattati europei ma nasce mediante un trattato intergovernativo. Il MES ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati, mentre la restante parte è pronta ad essere versata in caso di bisogno. La sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. Il Mes è nato come fondo di emergenza per i paesi durante la crisi dei debiti sovrani, ma con il passare del tempo ha attivato ( o avrebbe dovuto attivare ), linee di credito diverse.

Chi gestisce il MES?

Il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai ministri delle finanze dell’area dell’euro. Il Consiglio assume all’unanimità tutte le decisioni ma in condizioni di emergenza basta solo l’85% dei voti, che sono proporzionali alle quote. Siccome Germania, Francia e Italia sono gli unici paesi con quote superiori al 15 per cento del totale sono anche gli unici paesi che possono sempre porre il loro veto, anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. La discussione sulla riforma parte nel 2017 mentre l’accordo arriva nel 2021, ma subordinato alla ratifica di tutti i paesi.

MES e le linee di credito per le banche

Il principale obiettivo della riforma del MES è trasformarlo nel prestatore di ultima istanza del Fondo di Risoluzione unica. Il Fondo di Risoluzione Unica è un fondo creato dalla Ue per la risoluzione di banche in dissesto, nato nel contesto dell’Unione bancaria è finanziato da contributi del settore bancario e non da soldi dei contribuenti. Nel caso in cui il Fondo sia esaurito e il Single Resolution Board non sia in grado di raccogliere sufficienti contributi o prendere a prestito fondi a tasso accettabile da altre fonti il MES può agire come backstop e prestare i soldi necessari al Fondo per finanziare la risoluzione.

MES e le nuove linee di credito per gli stati

La riforma prevede per gli stati due linee di credito, quella precauzionale e quella rafforzata. La prima è disponibile agli stati dell’eurozona con “solidi fondamentali economici” e non prevede un memorandum. La seconda è disponibile a tutti gli stati ma occorre un memorandum. 

I “solidi fondamentali economici” prevedono:

1) Il rispetto dei classici parametri Ue, cioè un deficit-Pil non superiore al 3%, un saldo di bilancio strutturale almeno pari al benchmark specifico minimo, un rapporto debito-Pil sotto il 60% o una riduzione del medesimo, nei due anni precedenti, al passo medio di un ventesimo l’anno. 

2) L’accesso al mercato internazionale dei capitali “a termini ragionevoli” e dunque a interessi non estremamente elevati. 

L’Italia è ben lontana dai solidi fondamentali economici, e in caso di bisogno dovrebbe sottoscrivere un memorandum e sottoporsi alle famigerate “condizionalità”.

All’Italia conviene il MES?

L’Italia è attualmente il paese nell’area euro che paga gli interessi più alti sul debito pubblico. Dal punto di vista economico è il paese che ha più convenienza a contrarre debito col MES, perché gli interessi richiesti dai quest’ultimo sarebbero nettamente più bassi dei degli interessi richiesti dal mercato. Dal punto di vista politico o meglio, di una parte della politica con cui lo scrivente non è d’accordo, contrarre debito col MES ci esporrebbe a uno stigma, o a condizionalità limitanti. In ogni caso quella che è stata sottoposta al parlamento non è stata l’attivazione di una linea di credito col MES, ma la ratifica della riforma dello stesso. Il no ha bloccato la riforma per tutti i paesi coinvolti e non solo per noi.

Perchè l’Italia non ha ratificato il MES?

Hanno votato a favore PD, Italia viva ed Azione. Ad astenersi sono stati Forza Italia e Noi moderati. Hanno votato contro Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle. 

Storicamente, il Mes affonda le radici nel Fondo Europeo per la stabilità finanziaria, elaborato tra il 2010 e il 2011 quando Berlusconi era presidente del Consiglio, la Meloni ministro e Salvini europarlamentare. La ratifica del Mes arriva in Italia nel 2012 quando Mario Monti era presidente del Consiglio. La Lega era all’opposizione del governo tecnico e votò contro. Fratelli d’Italia non era ancora nata ma la Meloni, seppur ancora nel PdL, non partecipò al voto. Lega, Fdi e Movimento 5 stelle in quegli anni hanno avuto posizioni molto euroscettiche ma la coerenza col passato spiega solo parzialmente la bocciatura della riforma.

In questi giorni al centro del dibattito europeo c’è stata la riforma del patto di stabilità e crescita. Il patto detta sostanzialmente i limiti al debito e al ricorso all’indebitamento. E’ stato sospeso nel 2020 per via del Covid, in cui c’è stato un liberi tutti, ed è stato oggetto di trattative tra I falchi più orientati al rigore e le colombe meno orientate al rigore. La premier Meloni aveva lasciato sottintendere che la ratifica del Mes fosse da discutere nel “contesto” ovvero che dipendesse dal contenuto del nuovo patto di stabilità.

L’ Italia si è presentata al tavolo con un rapporto debito-pil oltre il 140%, e un rapporto deficit-pil oltre il 5% ed orientata a un patto molto più elastico del precedente. Il nuovo patto di stabilità, approvato il 20 Dicembre, è frutto sostanzialmente di un accordo tra Germania e Francia che ha soddisfatto solo marginalmente le richieste dell’Italia. Da qui la “vendetta” sul MES, il cui voto è arrivato nel giorno successivo. Teoricamente il Governo avrebbe potuto porre il veto direttamente al patto di stabilità ma il no al patto al Consiglio Europeo sarebbe stato dal punto di vista politico estremamente più pesante del no alla riforma del MES in Parlamento. Inoltre la Lega aveva manifestato di essere comunque orientata al no alla ratifica della riforma e FdI, votando a favore, avrebbe lasciato in vista delle europee troppo spazio agli alleati della Lega.

Giorgetti sotto tiro

La correlazione tra il no al Mes e il patto di stabilità ha fatto da sponda alle opposizioni che hanno visto nel no al MES una conferma della sconfitta a Bruxelles. Lo stesso ministro dell’economia Giorgetti affermando che avrebbe ratificato il MES, ma che “non era aria” ha fatto intendere che il no al Mes è stato frutto della delusione per il patto di stabilità. 

Il ministro di via XX Settembre è ora sotto tiro. Per Magi ( + Europa ) “A questo punto Giorgetti ha una sola strada davanti: le dimissioni”. Per Calenda ( Azione ) “Giorgetti dovrebbe seriamente valutare la possibilità di continuare a fare il ministro dell’economia”. Per Amendola ( Partito Democratico ) “il ricatto per il quale non ratifichiamo il Mes perché approviamo il patto si stabilità si è svelato” e il ministro “dinanzi a questo voto dovrebbe trarre le conseguenze”.

“I consigli dell’opposizione sono sempre utili. Permettete, però, che poi decida io”, ha risposto Giorgetti ironicamente ai cronisti che gli chiedevano se avesse intenzione di lasciare. 

In ogni caso il voto sul Mes ha mostrato una divisione tra il governo e il suo ministro dell’economia. Ha mostrato una divisione all’interno della maggioranza tra Forza Italia / Noi Moderati e Lega / Fratelli d’Italia, che andranno alle europee in gruppi diversi. E ha mostrato una divisione tra l’Italia e l’Europa. Il nostro paese fatica ancora a capire che non è un interlocutore di quest’ultima ma che fa parte di essa. 

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