Le origini dell’invasione russa dell’Ucraina vengono da lontano e richiedono, per essere comprese e sviscerate, un’analisi il più possibile distaccata dei fatti a cui stiamo assistendo. Il titolo di questo articolo è un ossimoro voluto e ricercato, che rappresenta il difficile compito a cui è chiamato chi scrive di geopolitica: da un lato la morale induce spontaneamente a condannare un atto di guerra ingiustificabile, dall’altro la geopolitica impone di mettersi nelle scarpe altrui, di capirne le motivazioni, le ragioni, senza pregiudiziali morali o ideologiche. Considerando che di scritti sulla follia di Putin ce ne sono fin troppi di questi tempi, in questa analisi cercheremo di indagarne l’aspetto razionale (se presente), meno popolare ma (forse) più rilevante per capire la traiettoria degli eventi. La prima parte di questo articolo sarà quindi dedicata al passato, la seconda all’oggi con uno sguardo verso il domani, mentre nella conclusione ci sarà spazio per una riflessione sul nostro paese.
Storia e geografia sono le basi dalle quali deve sempre partire una seria analisi geopolitica. L’Ucraina rappresenta la culla dell’impero russo, essendo stata dal IX secolo d.C. il nucleo della Rus’ di Kiev, entità monarchica medievale comprendente le odierne Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia orientali. Nel periodo che va invece dal 1923 al 1991 l’Ucraina ha fatto parte dell’Unione Sovietica, fungendo da “granaio dell’URSS” per via della estensione dei suoi terreni coltivabili. Il Donbass, nello specifico, è stato uno dei centri della rivoluzione industriale russa grazie alla presenza di miniere di carbone e di industrie siderurgiche, elementi che già dal Diciannovesimo secolo attiravano in questa regione immigrati da tutto l’impero.
Geograficamente parlando, un rapido sguardo ad una cartina geografica rivela la cruciale rilevanza geostrategica dell’Ucraina per Mosca. La Russia è un paese vastissimo, ma il suo nucleo geopolitico è posto sul fianco europeo, dove sono altresì collocate le due città più rilevanti, Mosca e San Pietroburgo. Difendere il proprio nucleo geopolitico è un imperativo per qualsiasi attore geopolitico che si rispetti, e la Russia ha sempre sofferto di una “sindrome da accerchiamento” che la porta storicamente a intervenire fuori dai propri confini per allontanare la prima linea di difesa dall’heartland del paese. L’Unione Sovietica era prima di tutto un eccellente cintura di sicurezza per la Russia, garantendole una serie di Stati cuscinetto alleati nell’Europa di mezzo. L’implosione dell’URSS, definita da Putin la “più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, ha spezzettato l’impero e messo a nudo la Russia, ne ha reso evidenti paure, fragilità e debolezze. Da qui l’uso della leva energetica per attirare a sé i paesi dell’ex Unione Sovietica e l’elaborazione della dottrina Medvedev (dottrina dei piedi rossi), che prevede di difendere i russi presenti nei Paesi stranieri. La Russia di oggi, inoltre, ritiene che gli Stati Uniti abbiano approfittato della debolezza russa di quegli anni per espandere la NATO a est, mostrando poca comprensione delle storiche esigenze di sicurezza russe e venendo meno alle promesse di non estensione dell’Alleanza Atlantica.
Il suicidio dell’Unione Sovietica aveva ridimensionato considerevolmente l’impero russo (vedi la cartina sottostante) ma non le ambizioni dei russi, popolo che vive ancora di gloria e non di benessere economico, incline al sacrificio pur di raggiungere il prestigio internazionale e il riconoscimento altrui.
Fonte: Limes, Rivista italiana di geopolitica
Venendo al presente, perché la Russia ha deciso di invadere? Cosa vuole ottenere? Nell’opinione di chi scrive, l’invasione, seppur premeditata, non era l’opzione desiderata da Putin e dai suoi consiglieri, che avrebbero preferito chiudere la questione al tavolo negoziale. La Russia necessita infatti di avere garanzie sul fatto che l’Ucraina né oggi né domani inclini verso l’Occidente, o meglio che venga riconosciuta alla Russia una sfera di influenza nel suo estero vicino, in primis in Ucraina. Kiev, nonostante la formale indipendenza ottenuta nel 1991, ha mantenuto una postura filo-russa sino al 2014, quando la rivoluzione di Euromaidan ha portato il paese su posizioni più filo-occidentali. Da allora Putin, annettendo la Crimea e sostenendo i ribelli nel Donbass, ha cercato di influenzare l’Ucraina per distoglierla dalle tentazioni occidentaliste, obiettivo mai pienamente raggiunto. Dunque, Mosca ha deciso di agire con maggiore fermezza, ammassando truppe al confine con l’Ucraina e drammatizzando la questione.
Ma perché proprio ora? Nell’interpretazione del Cremlino, la congiuntura internazionale era favorevole: gli Stati Uniti sono distratti dalla Cina nell’Indo-Pacifico e da questioni interne, dunque dovrebbero essere più inclini a concedere una tregua alla Russia per concentrarsi su minacce strategiche più impellenti. Il calcolo era corretto, e il presidente russo ha subito incontrato la disponibilità americana a trattare; il parziale disgelo era finalmente al centro del dibattito. Durante il lungo negoziato, Macron ha proposto la neutralità de facto dell’Ucraina (la finlandizzazione del paese), ma gli Stati Uniti si sono mostrati titubanti e reticenti a riconoscere una così ampia concessione (nella visione di Washington) allo storico rivale. Putin si è dunque convinto che in quella sede e con quelle condizioni non si sarebbe ottenuto l’obiettivo. La Russia ha scelto di attaccare militarmente l’Ucraina per modificare lo status quo e dettare i termini del prossimo negoziato (similmente a quanto avvenuto in Georgia nel 2008, con le debite differenze), correndo un azzardo non da poco. La decisione di invadere non era totalmente condivisa dai più stretti collaboratori del presidente russo, come dimostra il video virale sui social dove il capo dell’intelligence, Sergei Naryshkin, viene umiliato da Putin durante una riunione del consiglio per la sicurezza nazionale. L’attuale presidente non vuole passare alla storia russa come colui che ha perso l’Ucraina, ma i rischi di riprendersela in questo modo sono parecchi. La guerra non va vinta solamente sul piano tecnico-operativo, ma a livello strategico. La Russia non ha né le risorse né la volontà di occupare il territorio ucraino per un lungo periodo. Impantanarsi nelle pianure locali, accrescendo il sentimento nazionalistico degli ucraini, e compattare il fronte occidentale contro di sé sono le maggiori problematiche che Mosca si troverà ad affrontare nel prossimo periodo. La Russia, potenza eccezionale sul piano tattico e meno su quello strategico, dovrà quindi dimostrarsi abile nel raggiungere i suoi obiettivi senza perdere completamente la faccia ed il fronte interno.
In conclusione, l’invasione moralmente ed eticamente inaccettabile potrebbe avere una sua logica geopolitica qualora Putin riuscisse ad imporre il fatto compiuto recuperando il territorio dove il principe Vladimiro prescisse il battesimo ai suoi sudditi. Ma le insidie sono molteplici. E per gli americani si prospetta una fase complessa della propria epopea imperiale, con il nemico principale (la Cina) collocato nell’Indo-Pacifico e il rivale storico (la Russia) risvegliatosi nel centro del continente più importante del pianeta, l’Europa. Noi italiani possiamo fare poco, ma forse questa guerra potrebbe produrre un risultato positivo nella catastrofe generale, ovvero risvegliare almeno in parte la popolazione dalla dimensione post-storica in cui è confitta; status antropologico-mentale che induce ad anacronistici paragoni con l’invasione nazista dei Sudeti o ad assurdi riferimenti alla mai esistita “pace europea dal 1945” (vedi Balcani, Kosovo, Georgia e la stessa Ucraina nel 2014). L’orizzonte è fosco, tra caos nordafricano, espansionismo turco, stanchezza imperiale statunitense e rinnovata assertività russa; vogliamo continuare ad essere la bella addormentata al centro del Mediterraneo ed essere oggetto della storia o pensiamo di riprenderci una necessaria soggettività geopolitica?
Interessante analisi Edoardo, ma l’ UE riuscirà a cogliere l’occasione per diventare più Stati uniti d’Europa piuttosto che la vecchia CEE? Esercito Europeo e magari fiscalità comune?
Grazie Marco. No, l’UE riuscirà a trovare maggiore unità in questa fase congiunturale per opporsi alla Russia, ma certamente non per creare gli Stati Uniti d’Europa o l’esercito europeo. Semplicemente perchè una nazione non si crea a tavolino per volontà di qualche leader, ma deve fondarsi su lingua, storia e cultura comuni. Gli Stati Uniti d’Europa potrebbero crearsi solamente per imposizione di una nazione sulle altre, non per scioglimento delle collettività nazionali in una indefinita entità europea. L’impossibilità dell’esercito europeo ne è corollario: senza un governo non può darsi un esercito. Immagina in Libia nel 2011, un esercito europeo avrebbe visto i suoi componenti spararsi addosso (Francia e Italia). Dunque evviva l’UE, ma occorre prenderla per ciò che è e non per ciò che vorremmo che fosse.
Interessante, a parte il penultimo periodo che non comprendo…