L’eredità della politica di Bergoglio sulla scena internazionale: un’analisi dei punti focali e gli snodi geopolitici

Nel suo pontificato Papa Francesco non ha mai fatto tesoro delle sue intenzioni: entrato al Vaticano con lo scopo primario di “ripulire” la Chiesa, ha svolto un lavoro di scrematura da un lato e di accoglienza dall’altro, investendo (anche) in un processo di adeguamento a cultura e società laica. Criticato a volte dal clero, molto amato dai fedeli, la politica estera del Vaticano sotto Bergoglio si caratterizza per un allontanamento dalla radicalità occidentale per aprirsi invece maggiormente verso il Sud Est del mondo. Questo ha rappresentato un approccio completamente nuovo della diplomazia pontificia, reso probabilmente necessario dal contesto mondiale dell’ultimo decennio: nuove guerre e scontri riacutizzati hanno portato Francesco a coniare la definizione di “terza guerra mondiale a pezzi”, nel sottolineare come i vari protagonisti dei conflitti attivi non fossero più ormai circoscrivibili, ma il coinvolgimento fosse globale. A differenza dei suoi predecessori, Francesco ha utilizzato una proposta multilaterale, con una visione tesa principalmente a scardinare il confine occidentale.

Un orientamento rivoluzionario per certi versi, considerando che i precedenti papati hanno adottato una concezione essenzialmente centrista, approcciando il resto del mondo come “altro”. Bergoglio ha invece esteso i confini del suo operato e di quello della politica vaticana annettendo, di fatto, le problematiche di AsiaAfrica e Medio Oriente all’Occidente, in un interesse onnicomprensivo.

Papa Francesco e la Cina

L’approccio di Papa Francesco verso la Cina è sempre stato conciliante, cauto, quasi prudenziale, nel tentativo di preservare un dialogo a lungo termine, nonostante persecuzioni religiose ed il nodo focale della nomina unilaterale dei vescovi. In un paese in cui l’autorità governativa mantiene il pieno controllo anche sul credo religioso, l’intenzione è stata quella di stabilire relazioni durature, utili a proseguire tentativi di armonia e conciliazione reciproci per evitare maggiori accanimenti e garantire l’unità della Chiesa cattolica nel Paese più popoloso del mondo. Uno dei momenti chiave è stato proprio l’accordo provvisorio, firmato nel 2018 tra la Santa Sede e il governo cinese, relativo alla nomina dei vescovi (da sempre avvenuta imparzialmente da parte della chiesa di Pechino) per superare la divisione tra la “Chiesa patriottica”, ossia quella riconosciuta dal governo cinese e quella considerata “Chiesa clandestina”, ossia la Chiesa di Roma, perseguitata. In questo caso viene previsto che il Papa abbia l’ultima parola sulla nomina ma con una forma di consultazione o proposta da parte del governo cinese. L’accordo, i cui dettagli non sono pubblici, resta comunque “provvisorio” ma rinnovabile (l’ultima volta è stato ribadito nel 2022 per altri due anni). Alcuni cardinali, come Joseph Zen (di Hong Kong) hanno definito questa intesa un “tradimento” dei cattolici clandestini, accusando il Vaticano di cedere troppo al regime comunista, tanto da aver espresso “stima per il popolo cinese”. Alcuni osservatori hanno considerato questo compromesso un fallimento diplomatico, visto che Pechino ha comunque continuato a nominare vescovi senza consultare il Papa. Francesco lo ha invece difeso fortemente, come un atto di dialogo e pragmatismo, nella speranza, da parte di Bergoglio, di una piena normalizzazione dei rapporti.

Il rapporto tra Papa Francesco e la Cina ha dunque rappresentato un nodo importante, in un equilibrio complesso tra diplomazia, strategia pastorale e compromessi politici. Si tratta di un processo ancora aperto e controverso, in uno dei contesti più restrittivi per la fede religiosa nel mondo.

Il Papa nel conflitto russo-ucraino

Se rispetto alla chiesa russa ortodossa Papa Francesco è spesso stato duro e perentorio, definendo Kirill, il patriarca russo, un “chierichetto di Putin”, nel conflitto ancora in corso tra Russia ed Ucraina, Papa Francesco ha costantemente invitato più volte alla pace e al dialogo, criticando le violenze e le sofferenze inflitte ai civili, evitando però di attribuire la responsabilità direttamente alla Russia, mantenendo dunque una posizione equilibrata, con un’apertura dei canali di comunicazione con Mosca, centralizzando l’approccio diplomatico nel rispetto delle relazioni internazionali. Rimase famosa, oltre che fortemente criticata, la frase detta dal Papa in un’intervista del maggio 2022: “Forse l’abbaiare della NATO alla porta della Russia ha indotto Putin a reagire male e a scatenare il conflitto. Non so dire se la sua ira sia stata provocata, ma forse sì.” Da molti fu letta come una giustificazione parziale dell’aggressione moscovita, che il Papa però non ha mai accettato, precisando la sua ferma condanna alla guerra nel tentativo, a suo dire, di comprendere le dinamiche geopolitiche che l’hanno preceduta. Nel 2022 il Papa espresse il desiderio di incontrare Putin a Mosca per discutere della situazione in Ucraina, ma non ricevette risposta. Nonostante ciò, ha continuato a ribadire la sua disponibilità al dialogo, sottolineando l’importanza della diplomazia per risolvere i conflitti. 

Bergoglio ed il Medio Oriente

Il rapporto di Papa Francesco con la guerra israelo-palestinese si inserisce nella sua più ampia visione di giustizia, pace e dialogo tra le religioni, ma rappresenta anche uno dei temi più delicati, sensibili e controversi che il suo pontificato ha necessariamente dovuto affrontare. La sua posizione è sempre stata centrata sulla condanna della violenza da entrambe le parti e sul sostegno alla soluzione dei due Stati, con Gerusalemme come città di pace, la creazione di uno Stato palestinese indipendente accanto a uno Stato di Israele sicuro. Il Vaticano, nel 2015, ha formalmente riconosciuto lo Stato di Palestina, suscitando reazioni contrastanti da parte di Israele. Questo è stato letto come un gesto politico a favore della causa palestinese, ma Francesco ha sempre cercato di restare super partes, specialmente sul piano spirituale, ma probabilmente è – anche – in questo contesto che si inserisce il dietro front di Netanyahu rispetto alla morte del Pontefice. Ricordiamo infatti il post del cordoglio da parte del Ministero degli esteri israeliano, prima pubblicato per poi essere successivamente rimosso.

Conclusioni

Con la morte di Bergoglio si chiude dunque un capitolo interessante e per certi verso nuovo della politica vaticana. Vedremo se la nomina del suo successore segnerà un ritorno al passato o se proseguirà nelle modalità del pontificato di Francesco.

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