Con Nicola Lagioia, Antonella Lattanzi e Elena Stancanelli
Più libri più liberi, sabato, ora di pranzo. In una sala fremente viene presentata la versione cartacea di Lucy, rivista multimediale creata da Nicola Lagioia, Paolo Benini e Giorgio Gianotto. Il primo numero è dedicato alle relazioni e ai legami (per l’appunto), indagati da autrici e autori attraverso articoli, rubriche, reportage fotografici e visual.
È bella, colorata, fornita di stickers e pubblicata da Add editore; si può trovare in libreria o ricevere a casa con la sottoscrizione dell’abbonamento.
Ma come nasce Lucy?, chiede Elena Stancanelli.
Molto tempo fa, risponde Nicola Lagioia. Nel periodo pre e pandemico, lui, Gianotto e Benini (come tutti noi) hanno ripensato alla propria vita, e come spesso è accaduto nella storia culturale dell’ultimo secolo la rivista si è rivelata la soluzione più seducente.
Certo, hanno avuto significati molto diversi nelle varie epoche storiche; Lagioia ricorda con un sorriso come per Roberto Calasso l’esperienza delle riviste italiane si fosse conclusa addirittura prima della Seconda guerra mondiale. Può essere vero, per l’idea che ne aveva lui. Ma sappiamo che nel corso degli anni e nel periodo delle controculture sono esistite riviste importantissime per la militanza politica, culturale sociale. Ogni epoca raggruppa istanze diverse e molte riviste se ne sono fatte portatrici, divenendo veri e propri laboratori e culle per nuove comunità, prima solamente cartacee, poi digitali e online.
Lucy, per esempio, nasce prima online (e inizialmente gratuita). Ma non è più il tempo dei blog, ricorda Nicola Lagioia. Adesso le riviste sono multimediali, si arricchiscono con podcast e video-interviste, dialogano continuamente con i social (seppur questi siano spesso un’arma a doppio taglio).
La questione del supporto, dunque, tanto caro soprattutto a chi ha vissuto la transizione digitale in età adulta, è estremamente relativa; il supporto nella storia della letteratura è sempre cambiato, a partire dalle origini della scrittura e, più banalmente, dal passaggio dai manoscritti alla carta stampata. Ciò che conta è l’hardware, la mente umana: poco importa se una poesia sia scritta su pergamena o su un blog, finché il lettore legge e interpreta.
Sebbene, va detto, il digitale manca di un valore importante: la fisicità di un’opera, infatti, avrà sempre una valenza morale e affettiva diversa per chiunque la possieda.
Antonella Lattanzi sottolinea come Lucy si sia imposta come una novità fin da subito, con i suoi articoli ibridi e lo svincolamento facoltativo all’ipercontemporaneità in senso stretto. Certo, è legata all’attualità, ma ci si può arrivare da vie traverse; ecco quindi che un pezzo su Flaubert diviene il gancio letterario per parlare di patriarcato, e uno sull’istinto narrativo proprio dell’essere umano fin dall’Homo Sapiens fornisce l’occasione per indagare le fake news e la creazione del personaggio di Trump.
E, neanche a farlo apposta, la presentazione della versione cartacea di Lucy diventa, a Più libri più liberi, spazio di condivisione di idee sul ruolo dell’intellettuale nella società di oggi, e momento di riflessione per Stancanelli, Lagioia e Lattanzi su quanto sia giusto per l’artista esprimersi, senza paura di deludere la propria fanbase.
“Io mi sento irresponsabile verso i miei lettori”, dice Lagioia, ricordando di quando Bob Dylan decise di aprirsi alla musica elettronica accettando pomodori e ortaggi vari dal suo pubblico. “Sono contento quando Lucy rischia”, continua, “dateci la libertà di deludervi. L’arte è vitale quando crea scompiglio, dialettica. Come diceva Goffredo Fofi, la rivista deve informare e rompere i coglioni. Senza mai, però, diventare istituzionale”.