Risveglio amaro per il centrodestra. Il dolore per la sconfitta, prevedibile ma non fino a tal punto, deve stimolare riflessioni profonde in seno alla coalizione. Soprattutto su due aspetti: l’ideologia dominante e la forma che la coalizione dovrà assumere per il futuro.
Innanzitutto, il risultato complessivo per le principali città italiane (non solo capoluoghi) è 1-14; una “Caporetto” tradotta in punteggi calcistici che non ha precedenti nel passato recente. E questo è un paradosso, se si riflette sul fatto che, in verità, il centrodestra governa la maggior parte delle regioni italiane. Discrepanza tra diverse elezioni o scelte volutamente differenti? Delle due, la prima. Oltre all’incremento dell’astensione, si sta allargando la forbice che distingue un voto rispetto a un altro. Dall’elezione più di prossimità, come quella comunale, fino alle europee, i cittadini avvertono una crescente distanza dalla politica. E se meno della metà degli aventi diritto va a votare per eleggere i sindaci, figure che dovrebbero interessare una larga platea di cittadini, c’è da preoccuparsi per quando si apriranno urne più “distanti”.
Alle europee del 2019 il centrodestra, malgrado si tratti di elezioni di solito poco avvertite dalla comunità, fece un exploit senza precedenti, trainato da una Lega all’apice del successo politico. Il 34.3% degli elettori scelse il partito egemone, che aveva rinnovato la comunicazione e lo stile politico, e aveva affermato la propria identità: il sovranismo. Cioè l’ideologia dominante della coalizione, targata Salvini. Giorgia Meloni, in quel frangente, non aveva ancora il potere che ha oggi; non era leader perché la coalizione un capo l’aveva già.
La Lega ebbe il merito di portare la propria ideologia da un piano territoriale – il Nord – a uno nazionale, dominando l’arena con le sue battaglie. Di lì, infatti, anche gli altri partiti alleati si adeguarono, con delle differenze, al modo di fare politica importato da via Bellerio: Forza Italia si lasciò andare a una forma di “populismo moderato”, mentre Fratelli d’Italia scelse una comunicazione addirittura più dura, sulla scia della propaganda leghista.
Ma l’abilità del politico, oggi, è capire quando cambia il vento. E spostarsi seguendone il soffio. La pandemia ha rivoluzionato il modo di pensare della maggior parte degli italiani; la premiership di Draghi è un esempio in tal senso. Il populismo, il sovranismo oggigiorno non attirano più come prima. La politica, così come la società, è tanto morbida quanto fluida: facile da indirizzare se si trova il tema giusto, difficile da gestire per troppo tempo con la stessa ideologia.
Perciò, anche Giorgia Meloni, che attualmente cavalca l’onda dell’entusiasmo, deve stare attenta: non rappresenta alcuna novità in fatto di idee, se non una forma di coerenza manifestata con l’opposizione. Il rischio di essere catapultata in basso c’è e non deriva solo dalla sconfitta elettorale di ieri.
Inoltre, la coalizione, così com’è oggi, non funziona. Avere due leader equivale a non averne nessuno. Due partiti che secondo i sondaggi godono del 20% ciascuno, e che peraltro si trovano uno in maggioranza e uno in opposizione, bloccano la strada futura del centrodestra. Che dovrebbe ritrovarsi in una forma federalista, sul modello statunitense. Ovvero primarie alcuni mesi prima delle elezioni, così da permettere ai contendenti di fare politica sul territorio e farsi conoscere; fucina di idee condivise verso un obiettivo di interesse nazionale; unica leadership; diversità valorizzate e non nocive per la sussistenza politica della coalizione. Un modello audace, senza dubbio. Ma è proprio l’audacia che oggi serve al centrodestra per ripartire.
Il Pdl, in tal senso, è un esempio buono solo nella forma: non va replicato quel contenuto, che ha dimostrato molte falle e che non includeva la Lega, tuttavia bisogna imitare il contenitore. Presentarsi sotto un’unica egida è vincente perché riduce le frammentazioni, valorizza le diversità, acquieta l’elettore e lo consolida, crea competizione sana in tutta la coalizione.
Se il centrodestra vorrà risorgere dalla sconfitta di ieri, e soprattutto vorrà evitare repliche sgradite in futuro, dovrà seguire queste due strade: rivedere l’ideologia dominante e pensare al federalismo. Vie di salvezza da una sinistra vincente e, apparentemente, compatta.