Le armi nucleari tra percezioni mediatiche e strategia

Pericolo potenziale e minaccia reale 

Una volta, durante un esame di studi strategici all’università, capitò una domanda legata al bombardamento strategico. Le opzioni di risposta erano tre: non ha mai influito sull’esito di una guerra, è stato usato solo dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, ha determinato la vittoria degli Alleati nella Seconda guerra mondiale. La risposta corretta era la prima, ma alcuni colleghi si fecero trarre in inganno. Essi infatti si focalizzarono sulla terza risposta, perché pensavano all’uso delle bombe atomiche in Giappone. Tuttavia la domanda verteva sulla teoria della guerra aerea e l’elemento nucleare non era minimamente contemplato, poiché lo stesso risulta semmai un’eccezione non ascrivibile alle dottrine della guerra nell’aria. 

Questo esempio dimostra che l’elemento nucleare, da intendere come un qualcosa di spaventoso e terribilmente pericoloso, è stato talmente spettacolarizzato da essere inserito forzatamente nella percezione comune anche dove in realtà non influisce affatto. Troppo spesso infatti ci si concentra sui possibili effetti derivanti dagli ordigni nucleari, tralasciando per converso l’effettivo uso strategico che viene operato dalle dirigenze politico-militari. 

È dalla fine della Seconda guerra mondiale che viviamo nel cosiddetto mondo nucleare, e se questo spaventa qualcuno oltre i limiti della razionalità vuol dire che le caratteristiche proprie del pensiero strategico sviluppatesi attorno a questo elemento non sono state spiegate con efficacia. In ambito nucleare, infatti, è il pericolo ad essere potenziale, mentre la minaccia è reale; ed è assai improbabile che avvenga il contrario. 

La visione di Waltz

Per cercare di inserirsi in modo efficace nel dibattito su questo tema, conviene fare riferimento alla visione offerta da Kenneth Waltz, uno dei più eminenti accademici delle Relazioni Internazionali e figura preminente della scuola realista. Nel dibattere con Sagan, favorevole al pensiero opposto, Waltz spiegò perché il principio del more may be better (più ve ne sono e meglio potrebbe essere) potrebbe essere ben legato al contesto di gestione delle armi nucleari. 

Waltz sostiene che la proliferazione nucleare, contrariamente alle preoccupazioni comuni, possa contribuire alla stabilità internazionale. Basandosi sulla teoria realista delle relazioni internazionali, egli argomenta che la presenza di armi nucleari dissuade i conflitti tra Stati, poiché il costo di una guerra nucleare sarebbe catastrofico per tutte le parti coinvolte. Questo effetto deterrente, secondo Waltz, porta gli Stati dotati di arsenali nucleari a comportarsi con maggiore cautela nelle loro politiche estere, riducendo la probabilità di guerre su larga scala. Di conseguenza, la diffusione controllata delle armi nucleari potrebbe paradossalmente favorire la pace, scoraggiando azioni militari avventate tra le grandi potenze. 

Inoltre bisogna inglobare in ogni ragionamento sul tema la sussistenza e la necessità di implementare controlli e precauzioni tecniche dettati non solo dalla supervisione che deriva dalle autorità internazionali, ma in modo primario dalle esigenze di gestione tecnica ed operativa sul campo. Nel caso ascrivibile al massimo livello di gravità in cui un attore pericoloso per il sistema internazionale, come uno Stato con orientamenti minacciosi od un’organizzazione terroristica, acquisiscano il controllo di uno o più ordigni nucleari rimarrebbe comunque da verificare la reale capacità e competenza generale di questi attori sul piano della gestione operativa. 

Da questo desumiamo che il nostro discorso non si limita all’arma nucleare in sé, ma la deve per converso considerare come arma in potenza che sostanzia tutto un apparato dottrinario e scientifico-strategico assai più ricco e variegato. 

Un corollario strategico

Ai fini della conclusione occorre fornire al lettore meno esperto un quadro di comprensione di questo tema che risulti utile ai fini dell’interpretazione quotidiana delle notizie e delle opinioni sulla materia nucleare militare. 

Fa d’uopo ricordare come l’invenzione, nonché le successive fasi di utilizzo attivo in Giappone e a scopo sperimentale nei lustri successivi, abbia rappresentato non soltanto uno sviluppo straordinariamente rivoluzionario ma soprattutto una sfida che ha comportato nuovi sforzi di elaborazione e adeguamento sul piano strategico e dottrinario. 

Quando queste bombe vennero inventate, sistematizzandone ed intensificandone poi la produzione a partire dagli anni Cinquanta, il primato nucleare era americano; dietro al quale si posizionò il successivo conseguimento sovietico all’indomani degli esperimenti nella Nuova Terra (Novaja Zemlja). Gli americani, proprio per dotarsi di una nuova dottrina capace di offrire una visione d’impiego del nuovo strumento, radunarono esperti ed organi di ricerca per lavorare sul tema. Organizzazioni come la celebre Rand Corporation nacquero anche in funzione di tale sforzo, col coinvolgimento di esperti provenienti dalla dimensione accademica ed afferenti a varie discipline, tra le quali figuravano l’economia e la politologia accanto alle scienze militari ed aeronautiche. 

Senza voler fornire un resoconto troppo approfondito e dettagliato, è sufficiente riportare come l’arma nucleare sia direttamente connessa al concetto strategico di deterrenza. Da questo assunto di partenza si è poi originato un intenso dibattito, sintetizzabile nel contrasto tra il tentativo di evitare lo scoppio di un conflitto nucleare e la ricerca della vittoria e della superiorità qualora lo si ritenga inevitabile. Tutto si gioca sul rapporto esistente tra il cosiddetto “primo colpo nucleare” ed il secondo. Se una potenza nucleare operasse un attacco preventivo contro un’altra potenza, l’attaccante dovrebbe avere la ragionevole certezza di poter distruggere e neutralizzare tutte le capacità offensive del nemico. Nel caso, spesso assai probabile, in cui il nemico abbia conservato almeno parte del proprio arsenale, esso potrebbe eseguire il “secondo colpo nucleare” innescando così una dinamica di conflitto prolungata. 

Ovviamente vi sono molti elementi e variabili da tenere in parallelo, ma sicuramente è chiaro che ogni discussione riduttiva ed umorale non possa essere degna di illustrare i meccanismi della strategia d’impiego di questi arsenali in maniera corretta. 

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