C’era una volta, in un piccolo paese della Sardegna, una donna che era anche un’artista molto coraggiosa. Un giorno, quando aveva viaggiato tantissimo ed era ormai matura e piena di esperienza, l’artista tornò a Ulassai (questo il nome del suo paesino) e fece ai suoi compaesani una proposta sconvolgente: quella di far passare un nastro azzurro tra tutte le case, per ancorarle poi alla montagna. Ci mise dieci mesi per convincerli; infatti, pur nel loro vissuto semplice e senza pretese, i montanari compresero che quello che stava chiedendo l’artista non era semplicemente una bizzarria, ma la realizzazione di un’opera d’arte con un messaggio ben preciso. Compromesso dopo compromesso, l’artista guadagnò terreno e, alla fine, l’opera d’arte venne realizzata. Maria Lai, questo il nome della donna, riuscì così a mettere in piedi uno dei primi esempi di opera d’arte relazionale realmente significativa.
Questo accadeva nel 1981.
Oggi a sei anni dalla morte di Maria Lai (2013), il MAXXI di Roma dedica a questa innovativa artista una mostra molto ricca e ben curata (attiva fino al prossimo 12 gennaio). Serviva però una voce, qualcuno che spiegasse realmente il senso di questa scelta: Maria Lai non è un’artista conosciuta dal grande pubblico. Non è una fotografa famosa, una reporter di guerra, qualcuno il cui nome rimbalza da un quotidiano all’altro; non si è fatta portatrice di grandi appelli pubblicamente condivisi in tempo reale. Per questo, una sua conterranea, la scrittrice Michela Murgia, l’ha scelta per il suo volume “Storie senza eroi”: nella parte dedicata a Maria Lai, la Murgia racconta nel dettaglio tutta la vicenda della complessa opera relazionale che è “Legarsi alla montagna”, e lo fa senza mai chiamare l’artista per nome.
Il perché, Michela Murgia lo ha spiegato la sera dello scorso 10 luglio al MAXXI: siamo abituati al concetto di eroe, alla dinamica dell’eroe che è scelto tra i suoi pari e ha prerogative tutte speciali. Lo percepiamo come tale nella narrativa perché così ci ha educati la nostra cultura letteraria, da Achille a Giasone, da Orlando a re Artù, da Frodo a Harry Potter. L’eroe è il singolo, l’eccezionale; dietro di lui, però, finisce per scomparire il concetto di comunità. Ormai, nell’individualismo della nostra contemporaneità, ci sentiamo tutti un po’ eroi a sproposito (e ci aspettiamo che lo siano i nostri figli, e come tali li cresciamo); ecco dunque che recuperare il senso della comunità diventa non solo un gioco di parole, non solo qualcosa di cui riempirsi la bocca in campagna elettorale. Recuperare il senso di comunità diviene un’urgenza, un bisogno filosofico dell’anima e dell’uomo, che ha bisogno di non sentirsi sempre completamente indispensabile, solo e senza una struttura sociale di appoggio; Maria è, per Michela, il simbolo di questo desiderio dell’uomo del ‘900 di essere di nuovo parte di qualcosa di più grande, e per questo “perde” il suo nome nel racconto per guadagnare un’identità di gruppo, di cittadina, di artista compaesana legata alla sua terra.
Non c’è mancanza di realismo, nell’opera di Maria Lai. I montanari di Ulassai che si odiavano non si amarono da un giorno all’altro solo perché un nastro azzurro correva tra le loro case. Accettarono però di farlo passare, anche se molto teso, e lo fecero perché da qualche parte, nel loro profondo, Maria aveva risvegliato un senso di appartenenza sano e viscerale. Quando questo sentimento si risveglia, si comprende che c’è qualcosa oltre il proprio piccolo universo personale, che l’idea di un bene comune può essere un buon motivo per mettere da parte, per una volta, campanilismi e litigi. Comunità significa accettare che la propria incapacità di andare d’accordo col proprio vicino non può essere di intralcio per il bene proprio e comune.
Perciò vale la pena visitare questa mostra, che non contiene solo video e foto di “Legarsi alla montagna”; tra le chicche irrinunciabili ci sono anche i famosi “Libri cuciti”, metafore criptiche della permanenza del silenzio. E non è un caso che anch’essi propongano un comportamento che stravolge tutto il rumore, le urla e la prepotenza a cui oggi siamo abituati.
Con il mio vicino ho un terrazzo diviso solo da un vetro retinato. A volte mi sento disturbata dalla sua voce alta…. Proporrò di mettere anche noi un nastro azzurro… mi ricorderà che siamo, che mi è prossimo…. Grazie dunque Maria, grazie Michela