Non si può negare come il covid abbia segnato la vita di tutti noi in questi due anni. D’altronde, è davanti ai nostri occhi come sono cambiate le abitudini personali: il distanziamento, per il quale si è fatto meno di contatto fisico, le certificazioni verdi, le mascherine che ancora persistono nelle nostre vite (giustamente), seppur ad oggi solo raccomandate. Se prima ci si dimenticava di prendere le chiavi della macchina, ora – o, perlomeno, quando vi era l’obbligo – ci si dimentica anche di portare il dispositivo di protezione individuale (rectius, la mascherina) con sé.
Ma non solo sono cambiate le abitudini individuali e collettive, tra mascherine e distanziamento. Infatti, sin dal primo lockdown, i telegiornali hanno incominciato un incessante informazione riguardo la pandemia che, da lì a poco, avrebbe poi colpito duramente il nostro Paese, mai dimenticando quelle tristi e strazianti immagini delle bare trasportate da mezzi dell’Esercito Italiano a Bergamo, dalle quali traspariva la tragicità della perdita di un proprio caro.
Ora, vi è da chiedersi se la costante informazione riguardo la pandemia – la cosiddetta infopandemia – abbia portato con sé una patologia della stessa. Si è passati ai “bollettini” aggiornati di giorno in giorno, come fosse un appuntamento calcistico, sui contagi e i morti, fino ad arrivare, dal momento in cui sono stati approvati i vaccini, al bollettino del numero dei vaccinati, allo scopo di voler comunicare la soglia che avrebbe comportato l‘immunità di gregge (o, per gli anglofoni, herd immunity).
La risposta ad un possibile vulnus dell’informazione, e di conseguenza della comunicazione giornalistica, cerca di esser data attraverso il libro “Covid ed infopandemia – La verità sospesa tra fatti e parole”, scritto a quattro mani da Marino D’Amore, e da Valerio de Gioia, edito da Armando Curcio Editore, nel quale i due Autori analizzano il fenomeno informativo durante il covid-19 sia dal punto di vista sociologico, sia dal punto di vista giuridico. D’altronde, non è una novità ai molti che la sociologia ed il diritto camminano spesso insieme, poiché il secondo non è altro che espressione di regole del primo, e si trasforma e si plasma a seconda del mutamentodei rapporti sociali tra i consociati di un determinato Stato.
Una premessa è doverosa: la libertà di manifestazione del pensiero è sancita, nella nostra Costituzione, all’articolo 21, che trova un’altra affermazione, sotto la denominazione di “libertà di espressione”, nell’articolo 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, è chiaro come la libertà di pensiero possa trovare dei limiti, come quello di assicurare e proteggere altri beni di rilevo costituzionale, esattamente come lo è il diritto alla salute, per esempio.
Gli Autori, rispettivamente nei propri profili di competenza, riescono a mettere a nudo ed analizzare in modo preciso l’informazione susseguitasi in pandemia, individuandone le ragioni sociologiche e i risvolti giuridici. Alternativamente, le fake news, il complottismo, il negazionismo, e nondimeno l’over-verità, l’hanno fatta da padrone nei canali dei mass media. A titolo di esempio, tutti ricorderanno l’allora Presidente degli Usa Donald Trump che invitata a curarsi con iniezioni a base di candeggina e disinfettante.
Nei giorni scorsi anche Papa Francesco, ribadendo Egli stesso, ancora una volta, il ruolo importante svolto dai media durante la pandemia, è intervenuto riguardo l’importanza che svolge la comunicazione e l’attenzione che si deve rivolgere contro le fake news, per la salvaguardia dei giovani, definendo i siti che le divulgano come “tossici”.
In conclusione, a parere di chi scrive, la comunicazione svolge un ruolo fondamentale nelle nostrevita, e ciò non dovrebbe esser mai dimenticato. Tuttavia, la libertà di manifestazione del pensiero, tra cui rientra il diritto di cronaca, deve contenere dei limiti, a maggior ragione in un mondo come quello odierno super connesso, dove, in un millesimo di secondo, una notizia può aver raggiunto l’intero globo.