Lanterna geopolitica: l’Italia come terminale del progetto cinese

L’Italia è un Paese economicistico, ovvero vive di benessere e considera l’economia preminente sulla strategia. Per questa ragione fatica a discernere la differenza tra gli imperativi della geopolitica e le mere opportunità di sviluppo economico, nonché la preminenza dei primi sulle seconde. Questa difficoltà emerge e diventa evidente quando si analizza il rapporto tra il nostro Paese e la Cina, di cui cercheremo di rendere brevemente conto in questa sede.

La Cina vede l’Italia come il terminale finale del progetto Belt and Road Initiative (BRI), più comunemente e impropriamente chiamato Nuove Vie della Seta, il quale ambisce a collegare l’Asia e il continente europeo attraverso infrastrutture come porti, aeroporti, autostrade, gasdotti, oleodotti e reti di quinta generazione. L’Italia quindi è un boccone interessante in virtù della sua rendita di posizione, ossia la collocazione geografica al centro del Mediterraneo, e della sua tradizionale fragilità politico-economica, che la rende incapace di ragionare in termini strategici e ne indebolisce le difese immunitarie nella spietata arena internazionale.

In parole semplici, la Cina vede nell’Italia il ventre molle attraverso il quale penetrare la sfera di influenza americana e scardinarla dall’interno. La chiara mancanza di pensiero strategico in Italia è emersa, nell’opinione di chi scrive, con la firma del Memorandum of Understanding (MoU) del marzo 2019. Non per il contenuto, inesistente, del documento, bensì per la sua rilevanza simbolica: Xi Jinping è stato infatti accolto da imperatore in un Paese che conta, ancora oggi, la presenza sul proprio territorio di circa 13mila militari americani e 70 testate nucleari a stelle e strisce. La firma italiana ha rappresentato idealmente l’adesione ad un progetto di contro-globalizzazione, antitetico all’attuale globalizzazione made in USA

E qui emergono gli imperativi della geopolitica richiamati inizialmente: l’Italia è parte della sfera di influenza statunitense e, nel contesto di uno scontro sempre più duro tra Cina e Stati Uniti, stare in mezzo al guado potrebbe esporci ad un fuoco incrociato tale da farci affogare malamente. 

Affrancarsi dalla dipendenza americana – per una media potenza in enorme difficoltà come l’Italia, nonostante parte della nostra classe dirigente coltivi questa volontà – sarebbe illusorio e inattuabile. A breve dovremmo prendere delle decisioni sulla rete 5G e sul ruolo da affidare a Huawei, dossier che sta creando una accesa dialettica istituzionale tra il Copasir (ostile a Huawei) e i vertici del governo (inclini ad un compromesso). Tale dossier manifesta il trade-off tra convenienza economica di breve termine e opportunità strategica di lungo periodo, mettendo in crisi chi fatica a coglierne la sostanziale differenza. Anche la recente vicenda del coronavirus ha fatto emergere le crescenti simpatie e intese tra parte della nostra “elite” e le forze che rispondono al Partito Comunista cinese, la cui propaganda sembra trovare sempre più terreno fertile dalle nostre parti. 

Il punto cruciale è che il mondo di oggi è molto più complesso di quello di ieri. È un mondo più “fluttuante”, in fase di crescente polarizzazione. In questo contesto l’ambiguità non paga, specie se si tratta di una ambiguità ingenua e spesso inconsapevole. Lo scontro tra Cina e Stati Uniti è destinato a proseguire negli anni a venire e imporrà ai Paesi come l’Italia di compiere delle scelte. È necessario dunque ripristinare un dibattito strategico, una cultura strategica, una riflessione sulla nozione stessa di strategia e sulla preminenza di essa sull’economia. 

Qui la questione non è morale né ideologica, non può esserlo: la geopolitica è una disciplina cruda e realista, che prescinde dalla morale e dall’etica. La riflessione è basata sulla convenienza in un orizzonte di lungo periodo. Chi scrive non è persuaso dalla letteratura declinista sugli Stati Uniti e dalla convinzione diffusa che vivremo nel secolo cinese. 

Dunque, in conclusione, evviva gli affari con la Cina se possono aiutarci economicamente (anche se questi benefici economici ancora non si vedono). A patto che la collaborazione economica non si traduca in adesione strategica al progetto di “rinnovamento della nazione” cinese. Ci costerebbe molto caro.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here