Le sorti della crisi di governo dipendono altresì da Alfonso Bonafede, che mercoledì o giovedì si recherà in Senato per presentare la relazione sullo stato della Giustizia. La partita sarà tutt’altro che facile: il Guardasigilli, che già due volte in passato aveva schivato la possibilità di uscire di scena, avrà sulla testa una grossa spada di Damocle, insidiosa per tutto il governo. Se salta il Ministro, salta il premier, sempreché Conte non decida, sua sponte, di rimettersi al Capo dello Stato.
Così come era stato per la “comunicazione” – in realtà richiesta di fiducia vera e propria – di Conte, anche stavolta palazzo Madama rischia di essere pericoloso. In Senato, difatti, i numeri sono risicati e dipendono dalle scelte di Italia Viva: se Renzi desse mandato ai suoi di votare “no” unitamente, i giallorossi sarebbero sotto di 11 voti. Precisamente 156 no e 145 sì. Invece, con l’astensione di Iv, lo scenario si configurerebbe 145 a 138 in favore di Bonafede. Senza analizzare, per ragioni di brevità, tutte le possibili mosse degli appartenenti al Gruppo Misto, dei “costruttori” (ormai già demolitori) e dei senatori a vita, i quali probabilmente non presenzieranno più in Aula, come da consuetudine.
Risulta evidente la subordinazione a Renzi, il quale, ancora una volta, dà le carte nella partita del Guardasigilli; occorre ricordare le mozioni di sfiducia presentate dal Centrodestra e da +Europa, dalle quali Bonafede è stato graziato proprio dal leader di Italia Viva. Ora, però, il salvataggio appare più improbabile. Anche perché Teresa Bellanova ha dichiarato che i renziani “ascolteranno Bonafede e valuteranno, ma se la relazione si basa sulle idee che egli ha portato avanti negli anni, è difficile che Italia Viva possa votarla”.
A onor del vero, l’eventuale sfiducia al Ministro della Giustizia non sembra essere soltanto un gioco politico. Gli errori commessi negli ultimi tempi sono imperdonabili, a maggior ragione se si pensa che Alfonso Bonafede veste i panni dell’unico ministro citato in Costituzione (art. 110). Ciò sottolinea l’importanza della carica, che non può più essere rappresentata da colui che a marzo scorso non ha saputo rimediare alla perdita di controllo delle carceri da parte del governo e la ceduta del sistema penitenziario. Infatti, ventuno penitenziari finirono nel caos, tra saccheggi ed evasioni; 107 agenti feriti, 69 detenuti in ospedale, 13 morti suicidi. Da Foggia scapparono 77 detenuti, tra i quali alcuni esponenti della criminalità organizzata locale. Qualche mese prima di quanto scritto poc’anzi, ovvero nel gennaio 2019, Bonafede ha girato e ha diffuso in rete un video dell’arresto di Cesare Battisti, in violazione dell’articolo 114 del codice di procedura penale, che vieta “la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica”. Ancora, nel dicembre dello stesso anno, a Porta a porta ha onorato le istituzioni del diritto penale, “mixando”, in memoria del suo passato da deejay, la colpa col dolo. Infine, le ultime due memorie sono un colpo di grazia: la riforma della prescrizione, definita “mostruosa” da Carlo Nordio e tacciata di “populismo penale” dal Presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza, e la pessima figura con il pm Nino Di Matteo, in merito alla poltrona di capo del Dap, promessa al magistrato antimafia succitato e dopo solo 24 ore revocata con un dietrofront inspiegabile.
Ecco che, dunque, il voto al Senato sarà una summa sì dei precedenti scabrosi del Guardasigilli, ma anche dell’operato della maggioranza. La sottomissione alle scelte politiche altrui, al voto degli altri, accresce lo spavento, in attesa della terza fiducia.