Quest’anno è sotto l’egida di Chiara Valerio che Più Libri Più Liberi trova le sue coordinate e le sue condizioni d’esistenza, e per una matematica queste di certo sono formule di un linguaggio più che familiare.
E proprio Chiara Valerio introduce la lectio magistralis di Carlotta Vagnoli: scrittrice, content creator e attivista per i diritti delle donne e il riconoscimento della violenza di genere, definendo lo speech una vera e propria occasione di incontro con l’autrice e quello che continua a portare avanti nella sua rivoluzione copernicana.
Sì, perché nel 2023 festeggiamo il cinquecentocinquantesimo anniversario di Niccolò Copernico, e gli incontri che portano il suo nome non possono che rispondere a quel criterio di totale rivoluzione che i relatori vogliono ricordare.
Vagnoli è una voce molto autorevole e competente in termini di studi di genere, lo è da anni nella divulgazione che sui social network cerca di condurre affinché si riesca a riconoscere l’abuso, la violenza, lo stereotipo e la discriminazione: in parole povere, ciò che nutre il patriarcato e che, a sua volta, da questo si alimenta.
L’immagine di rivoluzione copernicana è del tutto coerente con ciò che la scrittrice combatte, nel tentativo di decostruire l’immaginario finora dato per scontato e per questo reiterato da quella cultura che continua a cercare alibi piuttosto che responsabilità, all’interno di quell’ordine simbolico che poi tutti, in realtà, dovremmo impegnarci ad elidere, come in matematica: con lo stesso elemento, ma di segno opposto.
Vagnoli spiega cos’è lo stereotipo, racconta come esso stesso sia nient’altro che la genesi di quella cultura patriarcale di cui siamo tutti imbevuti: una regola non scritta, una restituzione di realtà semplificata, un codice portato avanti per consuetudine, perché “si è sempre fatto e detto così”.
E allora, per arrivare a quella rivoluzione copernicana, bisogna effettivamente capire da dove siamo partiti, cosa c’era prima: cos’abbiamo rivoluzionato? Qual è il nuovo asse attorno al quale dobbiamo ruotare?
L’autrice chiarisce come da sempre vi siano dei simboli, dei linguaggi e dei bias che definiscono il femminile: lo connotano, lo squalificano, lo biasimano. In qualche senso poi, a volte lo compatiscono anche: il binomio santa/puttana, la donna oggettificata, l’obbligo incontrovertibile di stare in silenzio, lo stesso che ci ha ricordato magistralmente la regista Paola Cortellesi, nella sua opera prima C’è ancora domani.
Nell’urgenza di capire da dove veniamo, come siamo e perché siamo arrivati dove siamo, allora, si innesca la traiettoria che segue Vagnoli nella sua lectio magistralis: dall’antichità, quando le donne venivano scambiate per capi di bestiame, nei periodi di carestia di viveri, passando per l’Impero Romano, ricordando lo Ius corrigendi e la nascita del delitto d’onore (che – sorride mestamente nel sottolinearlo – abbiamo letto sul nostro codice penale fino al 1981).
“La donna è valida quando è illibata, quando è silenziosa”: questo è lo stigma che ha afflitto Artemisia Gentileschi nel processo contro Orazio Tassi, fino ad arrivare a Franca Viola, prima donna a sottrarsi al matrimonio riparatore con il suo aguzzino, nel 1966. Queste e tante altre sono le vittime che Carlotta Vagnoli nomina: vittime di un sistema che non solo non le ha difese, ma che le ha accusate e biasimate per aver anche solo osato rompere quello stesso preconcetto molto semplice: stai zitta.
L’evento non poteva che concludersi nella dignità del nome di Giulia Cecchettin, alla pronuncia del quale la sala Luna della Nuvola ha trattenuto il fiato, immersa nella rabbia che ha accompagnato la cronaca di quest’ultimo tragico mese di novembre. Ed è proprio sull’onda di questo turbamento emotivo che Vagnoli e il pubblico stesso ricordano le vittime di quella violenza di genere, compiuta e mai rinnegata da quei bravi ragazzi (come lo erano, se ci pensiamo, Izzo, Ghira e Guido nel 1975) che bravi non sono.
Vagnoli si riconnette allora al concetto di rivoluzione che, con Copernico, ha totalmente ribaltato tutto ciò su cui si fondava non solo il pensiero, ma la società civile dell’Occidente. Quella dell’attivista è una lezione sulla rivoluzione, lo ammette lei stessa, con l’augurio che si possa raggiungere presto, muovendosi su quell’asse effettivamente spostato dal quale si potrà guardare alla violenza come violenza, alla fine del patriarcato che uccide.
Fino a quel giorno, fino a quando continueranno ad esistere “quei bravi ragazzi”, Carlotta Vagnoli si riserva di chiamare quello a cui stiamo assistendo Resistenza.
Personalmente, mi auguro che possa essere sempre e per tutti partigiana.