La psicologia del rapporto padre-figlio in Kafka e Svevo

Nel corso degli anni la percezione della figura paterna ha subito delle variazioni conflittuali esplicitate dalla storia della letteratura, analizzata in chiave psicoanalitica. Il padre svolge un ruolo fondamentale, assieme alla madre, nella crescita sana e nello sviluppo psichico dei figli. Tuttavia, come mostrano alcuni esempi derivanti dalla letteratura del Novecento, possono scaturire relazioni conflittuali che sfociano nella paura e nell’inettitudine dei figli: il padre viene visto come un’autorità da guardare a distanza con timorosa venerazione. Parimenti al pensiero freudiano, tale rapporto è incentrato principalmente sulla rivalità: tutto inizia con una visione del padre, da parte del bambino, come modello da imitare; crescendo, il padre diviene un ostacolo e un limite da superare da cui, infine, distaccarsi, per affermare il proprio ruolo sociale e la propria indipendenza. È quello che mostra il complesso di Elettra (per le bambine) o di Edipo, così chiamato dal nome dall’omonima tragedia di Sofocle: il protagonista uccide il padre per unirsi alla madre. Il ruolo paterno contribuisce alla definizione del Sé nelle relazioni con l’altro, donando al bambino regole morali e sociali che costituiscono il Super-io, legislatore della psiche e coscienza morale, contrapposto all’Es, luogo della pulsione o del piacere irrazionale.

Il rapporto con la figura paterna, fondamentale ma difficile, condizionerà estremamente le vite e gli animi di alcuni scrittori.

Il primo esempio psicologico di rapporto doloroso col padre deriva dallo scrittore Kafka che ha regalato ai posteri una lettera, grondante di inquietudine, scritta al padre: vi è l’angoscia di un figlio sofferente per un padre assente. Da qui deriva un forte disagio celato dal sentimento di inadeguatezza, di amore e odio, del figlio di fronte al pater familia, in cui non riesce ad identificarsi: gli incute timore, mostra freddezza, indifferenza ed estraneità anche nella disposizione della tavola al momento del convivio. Si tratta di una lettera nata dal desiderio di chiarimento interiore e di ricerca delle cause di tali contrasti. Analizzando e criticando i mezzi educativi adottati attraverso l’insulto, la minaccia, le punizioni, Kafka addita al padre la causa del dolore, della propria infelicità. Si sente schiacciato, imprigionato e oppresso: ne’ “La metamorfosi”, ad esempio, appare l’immagine di uno scarafaggio, termine ricorrente nella poetica kafkiana, che è un’allegoria della sua privazione di identità. Emergono gli aspetti più terrificanti della trasformazione come simbolica rappresentazione dell’estraneità, della perdita d’identità, del delirio, dell’incomunicabilità.

“Caro papà, recentemente mi è capitato di chiedermi perché affermo che avrei paura di te. Come al solito non ho saputo risponderti, in parte appunto per la paura che mi incuti, in parte perché motivare questa paura richiederebbe troppi particolari più di quanti riuscirei a riunire in un discorso. Se ora tento di risponderti per lettera, anche questa sarà una risposta incompleta, perché anche quando scrivo mi bloccano la paura di te e le sue conseguenze, e perché la vastità del tema oltrepassa di gran lunga la mia memoria e la mia intelligenza. […]”

Anche Italo Svevo si accosta alla psicanalisi di Freud come strumento di conoscenza, respingendola come terapia medica. L’opera emblematica si intitola “La coscienza di Zeno”, in cui la vita di Zeno Cosini è oppressa dal rapporto tormentato col padre, verso il quale prova un odio tale da indurlo a desiderare la sua morte. A tale proposito, è significativo lo schiaffo finale del padre dato al figlio, gesto che lo segnerà per tutta la vita.

Un’altra figura importante è il Dottor Croposich, che cura le gravi condizioni del padre e verso il quale prova altrettanto odio, dal momento che incarna la severità e l’autoritarismo paterno.

Zeno Cosini incarna, dunque, l’inetto, incapace di prendere in mano la sua vita o di perseguire un obiettivo: esemplare è la sua dipendenza dal fumo per sancire la sua indipendenza dal padre e la ripetitività del termine “ultima sigaretta”, che non sarà mai l’ultima. Non è stimato nemmeno dal padre, severo e distaccato. Nessuno dei due tenta di instaurare un rapporto, a seguito della reciproca indifferenza derivante da una considerazione tradizionalista incarnata dal pensiero del padre.

La loro relazione è completamente distruttiva e solo quando il padre viene colpito da un edema cerebrale, Zeno inizia a provare un sentimento di pentimento: “[…]continuamente vedevo dinanzi a me la sicura imminente morte di mio padre e mi domandavo: “cosa farò io ora a questo mondo?[…]”

Tuttavia, emerge la necessità del protagonista di godere di una figura di riferimento alla quale aggrapparsi come stimolo per raggiungere un obiettivo e colmare le mancanze. Zeno, infatti, cerca di trovare delle risposte in altre figure, quali Giovanni Malfenti, commerciante dotato di qualità di cui lui è privo, e le sue figlie.

È evidente come gli scrittori abbiano sviluppato in tante varianti la relazione con il Sé e con la figura genitoriale, attraverso una scrittura nella quale riversare e catalizzare le risposte ai turbamenti e alle oppressioni, alla ricerca di un senso da dare alla realtà.

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