La primavera turca in protesta: #aşağıbakmayacağız

Istanbul, gennaio 2021: arriva la notizia della nomina del nuovo rettore alla guida dell’Università più prestigiosa, tradizionale e democratica della nazione della mezza luna. Un fulmine a ciel sereno per la fetta della popolazione turca che ancora crede negli ideali democratici e repubblicani. Una decisione presa solo ed esclusivamente dal presidente Erdoğan, senza consultazioni e senza tener conto della tradizione che portava avanti l’Università di Boğaziçi.

Melih Bulu, classe 1970, uomo politico ed accademico, appartenente al partito politico regnante in Turchia (AKP), in precedenza era un candidato per la nomina in elezioni locali 2009 e l’elezione generale giugno 2015. La sua nomina, con decreto legge che permette al presidente di fare tale scelta, ha scatenato una serie di manifestazioni e proteste di centinaia di studenti, professori e docenti e di ONG perché ritenuta antidemocratica, e dunque soprannominato “Kayyum Rektor”.

Eppure, non è la prima volta che l’università si trova ad affrontare una situazione del genere. È accaduto già con il precedente rettore – Mehmed Özkan – ma non tanto discussa perché comunque si trattava sempre di una persona interna all’ambiente accademico. Una nomina come quella di Bulu risale solo negli anni ’80, quando la nazione era a capo di una giunta militare e dunque il rettore universitario poteva essere eletto per decreto presidenziale, senza seguire l’iter democratico del voto del consiglio accademico. Riscrissero la Costituzione e ridisegnarono l’intero sistema politico, sociale e istituzionale, anche quello accademico con la creazione del Consiglio per l’Istruzione Superiore. Esso, da allora, regola tutta l’educazione in Turchia, compresa una lista di nomi per la carica di tutte le università di mano del Presidente.

Dunque, due situazioni simili ma allo stesso tempo diverse: un corpo estraneo nel 2021 si trova a dirigere un’università di grande importanza. Eppure, si sa quanto la Turchia ci tenga alle tradizioni e alla cultura. Ancora una volta, la nazione si trova al centro dello scandalo nazionale per la violazione delle libertà basilari in una Repubblica Democratica quale essa si definisce anche nella Costituzione. Non è stato mai nascosto, infatti, la grande ammirazione che essa prova nei confronti dell’Europa e i vari tentativi di assomigliarne, infranti purtroppo dalla forza di governo più radicalmente religiosa che sta prendendo sempre più piede.

La protesta ebbe inizio dal 1 gennaio 2021, anche se si hanno avuto notizie solo in questo mese perché si è trasformata da pacifica a rivoluzionaria, non per volontà dei manifestanti. La prima ribellione si è tenuta nel campo sud della Universitesi Boğaziçi dagli studenti e docenti, che ottennero presto solidarietà anche al di fuori dell’ateneo. In un’intervista al professore di sociologia ed ex consulente del rettore – Zafer Yenal[1] – egli dichiara che allo scoccare delle ore 12 di ogni giorno, alcuni professori e professoresse si ritrovano nel piazzale antistante al rettorato e si posizionano di spalle all’edificio in segno di protesta. Indossano la toga accademica, utilizzata solo in occasioni speciali. Un comportamento comprensibile dato che si tratta di un luogo di culto in cui il pensiero altrui, che sia critico o altro, deve essere rispettato e promosso o addirittura confutato razionalmente senza alcun timore di essere tacciato.

È vero, in Turchia regna il regime oligopolio[2] dunque sono i più potenti economicamente che finanziano università, accademie, testate giornalistiche, e molto altro. Anche l’università in questione fa parte di questo circolo vizioso, ma non per questo deve essere giustificata la nomina di Bulu perché rappresentante di un partito “azionista” finanziatore delle strutture accademiche. Un’immagine che rappresenta in toto il sentimento e la voglia di libertà è questa: anche se solo da un mese con la carica di rettore, Bulu non è amato per niente. Prima gli studenti e i professori si ritrovavano volentieri nelle stanze del rettorato per dialogare tra loro tenendo conto persino delle differenze di grado accademico. Adesso, lui è solo con la schiera di polizia che lo protegge. Da cosa, non è ancora chiaro… dalla libertà?

La protesta diventa, così, antigovernativa: in fondo, studenti e professori non chiedono altro che il rispetto per il grande prestigio dell’università che ha non solo all’interno della nazione ma anche a livello europeo. Vogliono che si rispettino i valori e i principi di questa istituzione, violati dalla sua nomina. Dunque, in una lettera pubblicata il 6 febbraio 2021 gli studenti chiedono non solo le dimissioni del nuovo rettore, ma anche quelle dello stesso Presidente. Ecco spiegati, perciò, le dure repressioni da parte delle forze dell’ordine sui manifestanti a colpi di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e incarcerazione ingiusta per uno/due giorni di studenti dissidenti. Una reazione che ricorda in pieno quella avuta durante il movimento Gezi Park[3], partito come protesta ambientalista per la distruzione del famoso parco e diventata virale – e addirittura mondiale – persino sui social networks (in particolare Twitter. Si ricorda che questa protesta era andata in onda su tutte le tv turche, poi sospese con un documentario sui pinguini.).

Nella protesta si sentiva la voce della polizia intimare: «Aşağı bak!», guarda in basso. E gli studenti di tutta risposta: «#aşağıbakmayacağız» (non abbaseremo lo sguardo), diventato uno dei motti più evocativi sui social networks di questo movimento insieme alla frase «Kayyum rektör istemiyoruz!». Non manca la satira nei confronti di tale situazione, che risulta tagliente e ironica. Una cosa inaccettabile per Erdoğan, perché nessuno può mancare di rispetto nei confronti di tutto ciò che è governativo. Ma, al momento, non si sa ancora quali sono le sue decisioni nei confronti di tale risposta espressiva, soltanto che gli studenti sono stati etichettati come terroristi. Un esempio di sfida nei suoi confronti è la vignetta che ritrae il nuovo rettore con le manette in mano mentre ascolta i Metallica. Master of Puppets, maestro di marionette.  

Si tratta di due movimenti diventati virali per motivi uguali: il parco è stato trasferito altrove per fare spazio ad una nuova postazione militare, mentre l’università verrà trasferita fuori città e la sede storica con vista sul Bosforo verrà venduta a una cordata di affaristi del Qatar. Insomma, prima l’interesse privato e infine i sani principi democratici.        


[1] “Turchia: l’università di Boğaziçi non ci sta”, Francesco Brusa, https://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Turchia-l-universita-di-Bogazici-non-ci-sta-208085, 29-01-2021.

[2] “La carenza di libertà di stampa e l’impatto sulle relazioni internazionali. Il caso della Turchia e della Russia”, Aracne Editrice, Barbara Mascitelli, gennaio 2020.

[3] Ibidem.

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