Ora che Donald Trump si è definitivamente insediato alla Casa Bianca, torna l’attenzione anche sull’aspetto climatico della politica statunitense. Se Biden aveva aperto alla green deal, Trump, già in campagna elettorale, aveva avvertito di un futuro cambio di marcia posizionato piuttosto su un massivo (ri)utilizzo del petrolio (e gas naturale) per incentivare nuovamente le imprese alla produzione e per spronare, a suo dire, un’economia stagnante anche in fatto di automotive. Di qui il forte interesse alla trivellazione ad oltranza in Usa, che butta, però, un occhio oltreoceano, addirittura verso la Groenlandia, ricca, si sa, di minerali preziosi e – guarda un po’ – di petrolio. Attraverso un ordine esecutivo, Trump ha dichiarato un’emergenza energetica nazionale, affermando che la produzione di energia degli Stati Uniti è “inadeguata a soddisfare i bisogni della nazione“. In questa fase, i capi delle agenzie governative sono autorizzati ad utilizzare i poteri di emergenza per identificare e sfruttare le risorse energetiche nazionali, ma non solo: Trump è deciso ad uscire, di nuovo e stavolta definitivamente, dagli Accordi di Parigi sul clima (oltre che dall’OMS), cosa che aveva già provato a fare nel suo primo mandato, ma la decisione fu subito cancellata da Joe Biden nel 2020, quando sconfisse Trump alle elezioni.
Trump e gli Accordi di Parigi
Nella logica trumpiana dell’America first, la decisione di uscire dagli Accordi di Parigi sul clima, firmata con un ordine esecutivo, ritrae dunque gli Stati Uniti dal limitare il riscaldamento globale al di sotto dei +2 °C, e possibilmente entro i +1,5 °C, dall’era-preindustriale. Questo infatti è il punto cardine sul quale si muove l’Accordo, firmato nel 2016 dai membri della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici alla quale hanno aderito 190 Paesi, ad esclusione di Iran, Libia e Yemen ed a cui, a questo punto, andranno ad unirsi gli Stati Uniti guidati da Donald Trump. L’adesione agli Accordi prevede inoltre che gli Stati aderenti il trattato presentino aggiornamenti quinquennali sui loro piani climatici per raggiungere gli obiettivi concordati. La decisione del ritiro, sotto forma di lettera che verrà depositata dall’ambasciatore statunitense presso l’Onu per notificare dunque i dettagli del ritiro, diventerà effettiva ad un anno dalla presentazione della stessa.
D’altro canto, nell’oligarchia di Trump vige l’impero delle grandi società hi-tech, specialmente in questo suo secondo mandato – parliamo specialmente di intelligenza artificiale, data center e mining delle criptovalute – gestite, di fatto, dal suo alter ego Elon Musk e che necessitano di un piano energetico ad hoc per essere sostenute. Non solo: Trump sta già cancellando varie direttive e dipartimenti ambientali creati da Biden durante il suo mandato, tra cui una Task force nazionale sul clima, conferme queste di una chiara direzione della politica trumpiana in fatto di ambiente che intende allentare la pressione della leadership globale sul clima(vedi il ritiro dagliAccordi di Parigi e dall’Oms),estrarre più combustibili fossili negli Stati Uniti – ma anche altrove – ed indebolire il sostegno all’energia verde.
L’intervento di Trump al World Economic Forum di Davos, l’Europa ed il delicato equilibrio con la Cina
Venerdì 24 gennaio si è chiuso il Forum Economico Mondiale 2025 (WEF) di Davos, un’edizione che ha visto gli occhi puntati sulle dichiarazioni di Donald Trump, che è intervenuto da remoto. La sua partecipazione ha rappresentato il primo contatto diretto con la nuova amministrazione Usa. Se da un lato è stata forte l’attesa di ascoltare le intenzioni della nuova presidenza Trump, dall’altra l’incontro si è confermato come un momento di confronto e di esposizione su temi non necessariamente economici e/o climatici. La presenza di 3.000 leader rappresentanti di 130 Paesi diversi, ha sottolineato l’importanza di questo evento in cui la presenza di personalità come il diplomatico iraniano Javad Zarif e di Zeelensky (con esclusione della Russia) ha rafforzato, da un lato, l’apertura verso la ricerca di possibili accordi per un nuovo assetto mondiale, dati gli ultimi difficili avvenimenti.
Trump ha ribadito le sue intenzioni di aumentare i dazi per i Paesi che importano negli Stati Uniti, puntando il dito contro l’Unione Europea: “Ci ha trattati molto male, farò qualcosa in merito al nostro deficit commerciale con l’UE”, sottolineando che lo scopo ultimo sarebbe quello di ridurre l’inflazione sulla quale, a suo dire, Biden “ha perso il controllo”. In contemporanea, annuncia tagli sulle tasse, invitando le aziende a produrre negli Stati Uniti: “Non ci sarà posto migliore per creare posti di lavoro e costruire aziende degli Stati Uniti”, ed ancora: “Producete negli Stati Uniti e beneficerete della fiscalità più bassa del pianeta”. Ma il punto focale esposto al WEF è relativo al discorso del petrolio. Ha detto Trump: “Gli Stati Uniti possiedono la più grande quantità di petrolio e gas di ogni Paese e noi la utilizzeremo” ed ha dichiarato che chiederà sia all’Opec (l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) sia all’Arabia Saudita di abbassare il prezzo del greggio, sottolineando che secondo lui, se fosse meno caro “la guerra tra Russia e Ucraina cesserebbe immediatamente”.
La Cina, con il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun, ha espresso preoccupazione circa le parole del presidente Usa, specialmente con riferimento all’uscita degli Usa dagli accordi di Parigi sul clima, commentando che “La Cina è fortemente impegnata nella risposta alla crisi climatica e promuoverà in modo congiunto la transizione energetica su scala globale“, ma anche per la decisione di lasciare l’agenzia Onu di Ginevra. Sempre secondo Guo Jiakun, per la Cina il ruolo dell’Oms dovrebbe piuttosto essere rafforzato e “non indebolito” e, ha continuato, il paese asiatico “continuerà a sostenere l’Oms nell’assumere le sue responsabilità”. Ma la tensione non si ferma a questo: passa per la gestione di tiktok alla minaccia del Presidente Trump di imporre importanti dazi al gigante asiatico, lamentando, inoltre, pagamenti molto bassi all’Oms da parte della stessa Cina in rapporto alla sua popolazione. Il Ministro degli esteri cinese si è dimostrato invece tendenzialmente collaborativo, dichiarando che la Cina è “pronta a rafforzare il dialogo e la comunicazione con gli Stati Uniti e a gestire correttamente le differenze” tra loro, nell’auspicio che: “gli Stati Uniti lavorino con la Cina per promuovere congiuntamente lo sviluppo stabile (…) delle relazioni economiche e commerciali sino-statunitensi”.