Le “femmes fortes” sono le protagoniste dei dipinti di Elisabetta Sirani (1638-1665), pittrice di fama internazionale della seconda metà del Seicento.
Elisabetta è stata maestra della scuola barocca bolognese ed è riuscita, grazie al tratto personalissimo, moderno ed innovatore, a distinguersi dagli artisti, quasi tutti uomini, dell’epoca.
Il biografo e storico dell’arte Cesare Malvasia (1616-1693) afferma: “Era tale la velocità e franchezza del suo pennello, ch’ella sembrava più leggiadramente scherzare che dipingere.”.
(Ottavio Mazzoni Toselli, Di Elisabetta Sirani pittrice bolognese e del supposto veneficio onde credesi morta nell’anno XXVII di sua età. Racconto storico, Bologna, Tipografia del Genio, 1833. pag. 7)
Le Gallerie degli Uffizi, che nel 2018 hanno ospitato una mostra a lei dedicata, ci ricordano la sua velocità d’esecuzione, che le ha permesso di realizzare 200 tele nel corso di 10 anni di carriera, “capacità non comune a qualsiasi artista”.
Sirani sceglie, per i suoi dipinti, donne dell’antichità classica e biblica.
Le raffigura in momenti intensi e drammatici, esaltandone il coraggio, la tenacia e il protagonismo.
Il dipinto “Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno” (1659) rappresenta la vicenda di Timoclea, donna dell’antica Grecia, vittima di violenza, che si vendica del suo assalitore.
A raccontare la storia è Plutarco nel “Mulierum Virtutes”, sottolineando la magnanimità di Alessandro Magno che, presa Tebe con l’esercito macedonenel 335 a.C., decide di graziare la tebana Timoclea, nonostante questa abbia assassinato un suo comandante.
“il comandante di uno squadrone di Traci […]. Non avendo rispetto per la nobiltà della donna né per la vita di lei, […], la mandava a chiamare, per passare la notte con lei. E questo non era tutto: cercava anche oro e argento […]. Timoclea, colta al volo l’occasione che le si presentava, disse: “Meglio sarebbe stato essere morta prima di questa notte, piuttosto che continuare a vivere! Ora che tutto è perduto, avrei almeno preservato il mio corpo dalla violenza! […]. Avevo dei gioielli personali e coppe d’argento, e anche un po’ di oro e denaro. Quando la città fu presa, ho ordinato alle mie ancelle di raccogliere tutto e poi ho gettato, o meglio, ho depositato il tutto in un pozzo prosciugato”.
(Plut. Mul. virt. 259e-260d)
Il dipinto coglie il momento in cui Timoclea scaraventa il comandante trace nel pozzo, dove lo aveva condotto con l’inganno.
L’episodio si conclude con Alessandro Magno che non commisera la donna per quello che ha subito ma la ammira per la fierezza delle sue parole e l’audacia delle sue azioni.
Fierezza ed audacia accomunano Timoclea ad Elisabetta Sirani.
L’artista si è trovata a doversi difendere da ingiuriose accuse che non la volevano autrice delle proprie opere, attribuite, invece, al padre pittore.
Sempre Malvasia descrive l’arte della pittrice come “virile” e “da uomo”,come una virtù propriamente maschile.
Ma la determinazione e la consapevolezza di Sirani, pronta a dimostrare le proprie capacità artistiche, la portano a dipingere dal vivo, in presenza dei più grandi signori del periodo, fra tutti i Medici.
In un’epoca, inoltre, in cui la firma delle donne non aveva nessun valore legale, la pittrice ha rivendicato questo diritto, lasciando le proprie iniziali sui bottoni, sui merletti, sulle scollature, sulle maniche dipinte.
Così da creare un legame d’identità indissolubile con lemuse dei suoi quadri.