Sekhmet, detta“La Potente”, è la più sanguinaria divinità femminile dell’antico Egitto. La sua crudeltà può essere paragonata solamente a quella del fratricida e usurpatore Dio Seth.
Nel “Libro della Vacca Celeste” (1539-1292 a.C) viene raccontata la sua nascita dall’occhio del Dio solare Ra. Il dio del Sole, infatti, stanco della crudeltà e della ribellione degli uomini, decide di punirli creando una divinità dal corpo di leonessa, Sekhmet, e la scatena contro l’umanità.
La Dea distrugge la malvagità umana ma, ormai assetata di sangue, non placa la sua violenza. Ra, allora, per evitare lo sterminio dell’umanità, decide di ordire un inganno. Fa tingere le acque del Nilo di vino rosso e Sekhmet, pensando si tratti di delizioso sangue umano, prosciuga il fiume. Una volta ebbra e mansueta, la terribile divinità si trasforma nella docile Hathor, Dea dell’amore.
La doppia personalità di Sekhmet, divoratrice ma anche benevola consolatrice dei popoli, in epoca egizia, rendeva la divinità tanto temuta quanto venerata. Gli egiziani, infatti, ritenevano che la Dea fosse la causa di piaghe, carestie e varie calamità naturali ma, allo stesso tempo, le riconoscevano straordinarie capacità di guarigione. Per questo motivo, i sacerdoti di Sekhmet erano considerati i migliori medici dell’antichità.
Probabilmente, proprio per onorare le sue virtù, il faraone Amenofi III fece erigere, più di 3400 anni fa, all’interno del suo tempio funerario a Tebe (Egitto), 365 statue dedicate a Sekhmet, una per ogni giorno dell’anno. Presso le sculture venivano portate offerte e compiuti rituali per evitare che l’ira della dea si scatenasse.
In Sekhmet confluiscono molteplici caratteristiche e qualità. Ritenuta Dea della gioia e dell’ebbrezza; della vita e della morte allo stesso tempo, veniva onorata con balli e canti.
A lei era sacro il sistro, strumento musicale a sonagli prettamente femminile, suonato dalle sacerdotesse durante le cerimonie religiose per allontanare il male. Le era, inoltre, dedicata la danza degli specchi, nel corso della quale le ballerine danzavano tenendo in mano uno specchio e delle nacchere. Lo specchio era considerato un simbolo di bellezza, giovinezza e immortalità.
Questa divinità, a metà strada tra la Dea dell’amore Venere e il Dio del vino Bacco, tra la Dea guerriera Minerva e il violento Dio Marte, è tra quelle maggiormente raffigurate in assoluto. I suoi simulacri sono conservati nei più celebri musei del mondo, dal Metropolitan Museum di New York al Museo Egizio di Torino.
A Karnak, in Egitto, l’entrata del tempio dedicato a Sekhmet è decorata con una scritta in oro che recita: “Ti chiedo solo di entrare in casa mia con rispetto. Per servirti non ho bisogno della tua devozione ma della tua sincerità, né del tuo credo ma della tua sete di conoscenza. Entra con i tuoi vizi, le tue paure e i tuoi odi, dai più grandi ai più piccoli. Posso aiutarti a scioglierli. Puoi guardarmi e amarmi come donna, come madre, come figlia, come sorella, come amica, ma non guardarmi mai come un’autorità al di sopra di te stesso. Se la tua devozione per qualunque Dio è maggiore della tua devozione per il Dio che c’è dentro di te, offendi entrambi e offendi l’Uno”.