Negli ultimi giorni la parola calda è “movida”, cioè l’evoluzione di “assembramento”. Mentre quest’ultimo rappresentava un divieto da rispettare durante la fase 1.5, invece con “movida” si vuole contrassegnare la pluralità degli assembramenti dal 18 maggio in poi. Insomma, essa è il nuovo nemico del governo, il capro espiatorio di tutti i danni causati dall’incertezza della maggioranza e dalle promesse irrealizzate (in primis l’elargizione di denaro garantita e quasi mai arrivata).
L’imprenditoria italiana è in ginocchio a seguito del lockdown. A oggi, i bar sono costretti a chiudere alle 23 per evitare l’affollamento di chi consuma nei pressi dei locali; così una buona parte delle attività commerciali, che basava il proprio guadagno sui consumi della vita notturna, di fatto non è mai ripartita. E non solo: i sistemi di distanziamento sociale, che vanno dal semplice allontanamento dei tavoli fino al plexiglass tra i clienti, distolgono una fetta di clientela dal piacere di una cena fuori, rispetto alla quale si preferisce restare a casa, un po’ per paura un po’ per malcontento. Il Fondo monetario internazionale ha stimato un calo del PIL per l’Italia nel 2020 del -9,1%, per le aziende è attesa una perdita di fatturato fino a 670 miliardi di euro. Il quadro dell’economia italiana, che dipende altresì dalla ristorazione, è drammatico: entro l’inizio di giugno riaprirà solo l’85% delle aziende del settore (Fipe-Confcommercio). E le altre? Alcune attendono di capire l’aria che tira, altre hanno anticipato la cassa integrazione ai propri dipendenti e non hanno le risorse per ripartire (la sanificazione degli ambienti non è a carico del governo, bensì dei privati), molte hanno già deciso di non riaprire.
Nello sfondo sopra raccontato, l’esecutivo entra a gamba tesa sulla movida, come se fosse un avversario da fermare anche a costo di rimediare un cartellino rosso.
A tale proposito, occorre bilanciare l’interesse sanitario, che ha portata nazionale e deve essere prioritario, con la libertà dei cittadini di tornare a vivere e la necessità degli imprenditori di fare cassa dopo mesi di perdite. Non è un’operazione facile, s’intende. Eppure minacciare nuove chiusure non è un modo per responsabilizzare. La deterrenza, dopo due mesi di costrizioni, non funziona. La movida è l’estremizzazione dell’uscita e dell’incontro responsabile: è ovvio che una piazza piena di gente senza dispositivi di protezione e sconsiderata rappresenta l’estremo negativo della libertà, in circostanze simili. Ma, allo stesso tempo, non si può vietare a chi non ha vissuto – e in tanti casi ha anche sofferto per svariate ragioni – di tornare a vivere.
Le immagini del lungomare di Napoli e dei quartieri della vita notturna romana e milanese fanno riflettere e sono un esempio negativo, senza dubbio. E come tali andranno trattate, qualora quella realtà si ripeterà nelle prossime settimane.
Non è corretto, tuttavia, fare di tutt’erba un fascio. C’è anche chi rispetta le disposizioni e chi, anche se non le rispetta del tutto, non prende parte a siffatte manifestazioni di irresponsabilità. Ben venga la movida, purché responsabile. Perché movida non vuol dire solo assembramenti pericolosi, ma anche più consumi ed economia in crescita. Ogni medaglia ha due facce che sarebbe bene considerare.