La monarchia: un istituto non ancora superato?

La statura umana e istituzionale della Regina Elisabetta II ha fatto sì che la sua recente scomparsa accendesse in modo prepotente l’interesse di tutti i media del mondo. Tale tributo alla compianta sovrana è certamente giusto e doveroso. Ma il fatto di cronaca può essere anche l’occasione di svolgere alcune considerazioni sull’istituto della monarchia in quanto tale, e non solo su quella britannica.

Molti giudicano l’istituto monarchico superato e anacronistico. Ma così superato forse non è, se è vero che milioni di persone – ovviamente donne e uomini di oggi – hanno tributato grandi manifestazioni d’affetto a Elisabetta II in occasione sia del recente giubileo di platino sia dell’ancor più recente scomparsa.

Si dice spesso che la monarchia vive di rituali e di liturgie eccessivamente pomposi e come tali ormai superati. Ciò è vero per la monarchia britannica, molto meno per le altre monarchie presenti in Europa – Spagna, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia – e non a caso molti si attendono dal nuovo Re Carlo III qualche semplificazione o snellimento di alcune rigidità protocollari.

Non dobbiamo tuttavia dimenticare che anche le repubbliche custodiscono e perpetuano le loro liturgie, ancorché più snelle. Guardando a ciò che accade in casa nostra non possiamo negare l’aspetto rituale e liturgico degli omaggi periodicamente resi alla tomba del Milite Ignoto, della parata militare del 2 giugno, dell’esecuzione e dell’ascolto che talora si fa rigorosamente in piedi dell’Inno Nazionale, delle toghe bordate di ermellino che i magistrati della Suprema Corte indossano in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

Tutto ciò ha un preciso significato: rappresentare in modo concreto e tangibile la presenza e l’unità dello Stato, e questo compito viene assolto in modo analogo dalla figura del Re nelle monarchie e da quella del Presidente nelle repubbliche.

D’altronde l’Italia stessa è stata una monarchia per quasi un secolo, dalla sua nascita come nazione nel 1861 fino al 1946. E se nel 1946 è divenuta repubblica non fu perché l’istituto monarchico fosse da ritenersi astrattamente superato, ma per le pesanti responsabilità in cui era incorsa la casa regnante.

Vittorio Emanuele II, il Re dell’unità d’Italia, ebbe il merito di comprendere la grandezza dello statista che aveva al suo fianco – Cavour – e di consentirgli, pur in assenza di feeling fra i due, la realizzazione del suo progetto.

Tuttavia il suo successore, Umberto I, dimostrò una colpevole insensibilità nei confronti di una questione sociale che, in un’Italia tardivamente interessata dalla rivoluzione industriale, si faceva di giorno in giorno più grave. E ciò fino al punto di compiere il gesto che lo condannerà a morte: la concessione di un’onorificenza al Generale Fiorenzo Bava Beccaris per avere represso a colpi di cannone una manifestazione di scioperanti a Milano nel 1898. Sarà proprio per vendicare quel gesto che l’anarchico Gaetano Bresci uccise il Re Umberto I a Monza il 29 luglio 1900.

Quanto al successore, Vittorio Emanuele III, non possiamo dimenticare con quanta facilità consegnò l’Italia a Mussolini, così come non possiamo dimenticare la sua colpevole promulgazione delle leggi razziali nel 1938. Ma soprattutto non possiamo dimenticare la vergognosa fuga da Roma dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 che abbandonò la nazione alla mercé dei nazisti invasori.

Le considerazioni che precedono ci portano a ritenere che la monarchia non è di per sé un istituto superato, e ben può essere un istituto attuale nella misura in cui sia incarnata da una casa regnante aperta all’evolversi dei tempi e saldamente ancorata ai principi della democrazia.

Così non è stato in Italia, e ciò ci porta a dire che bene ha fatto la maggioranza degli italiani a votare per la repubblica nel referendum del 1946.

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