La “Medea” di Pasolini e Callas: il mito nella realtà e la realtà nel mito

Oggi, nell’anniversario della sua nascita, vogliamo ricordare Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali e registi più poliedrici del Novecento, con un approfondimento sulle tematiche del suo film “Medea” (1969) e sul ruolo che Maria Callas ha avuto come protagonista.

Il film

Pier Paolo Pasolini gira la sua “Medea” tra il maggio e l’agosto del 1969. Come attori protagonisti  il regista sceglie la celebre cantante d’opera Maria Callas, che indossa i panni di Medea, mentre la parte di Giasone è interpretata dall’atleta Giuseppe Gentile.

Quel che interessa a Pasolini è rappresentare, attraverso il suo film, il conflitto tra due mondi, quello primordiale rappresentato da Medea e quello civilizzato, di cui Giasone è il simbolo:

«Medea è l’eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone è invece l’eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi».

Nella prima parte del film i due mondi convivono nell’amore che Medea e Giasone nutrono l’uno per l’altro, a cui fa da sfondo una terra mitica, la Colchide, che è stata ricreata attraverso scene girate in Siria e in Turchia. Nella seconda parte del film, ambientata a Corinto e girata principalmente a Pisa, la realtà entra nel mito, distruggendolo. Questo avviene nel momento in cui Giasone ripudia Medea come sposa e al contempo rinuncia ad una convivenza armonica con la purezza del mito, a cui preferisce la corruzione della realtà, rappresentata da Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto, e dunque chiave d’accesso al vertice del potere.

Maria Callas nei panni di Medea

«Lei (la Callas) appartiene a un mondo contadino, greco, agrario, e poi si è educata per una civiltà borghese. Dunque in un certo senso ho cercato di concentrare nel suo personaggio la complessità di Medea».

È con queste parole che Pasolini giustifica la scelta di far interpretare la sua Medea a Maria Callas e non ad un’attrice professionista.

L’effetto di straniamento è provocato dal fatto che la cantante lirica viene privata del suo elemento caratterizzante, la voce: in questo film, infatti, la Callas non solo non canta, ma non parla neanche, dal momento che Pasolini rimane insoddisfatto del suo doppiaggio e sceglie di far ridoppiare le sue battute da Rita Savagnone.

Nel film “Medea”, dunque, Pasolini fa in modo che la Callas non coincida con la sua abilità vocale, ma si identifichi con la sua fisicità, attraverso primi e primissimi piani in cui il volto della diva viene ripreso soprattutto di profilo, mentre il corpo è sempre coperto da vesti e gioielli maestosamente ingombranti, che la fanno svettare in tutta la sua iconicità, come se fosse la statua del mito che rappresenta.

A proposito del simbolismo legato alla persona e al personaggio della Callas, Pasolini scrive:

«Tu sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poi essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia».

La scelta di Pasolini di fare di Maria Callas la protagonista della sua “Medea” ci appare dunque in tutta la sua struggente coerenza. Negli anni del declino della sua carriera musicale, infatti, il regista la vuole rappresentare come un mito vivente, che non ha più bisogno della propria voce per riempire la scena: basta la sola sua presenza, infatti, a giustificare il suo ruolo e il suo esserci.

Un mito, quello della Callas, che ancora oggi, a cento anni dalla sua nascita, non accenna a sbiadire ma anzi, continuando a meravigliarci per la poesia antica della sua voce, rimane ancora saldamente ancorato alla nostra realtà di donne e di uomini moderni.

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