La mancata risoluzione della crisi in Palestina, territorio tra il fiume Giordano e il Mediterraneo dove solo Israele si è costituito in entità statuale mentre gli arabi rimangono divisi sotto l’effetto di un regime d’occupazione impostogli dallo Stato ebraico dal 1948, continua ad operare da generatore dell’instabilità nel Medio Oriente.
Avvicinamento arabo-israeliano nel freezer
Come in quella dello Yom Kippur del 1973, nella Guerra del Sukkot in corso i nemici di Israele (allora Egitto e Siria, attualmente l’organizzazione islamica Hamas che controlla la Striscia di Gaza) si sono assunti l’iniziativa e stanno approfittando dell’effetto sorpresa. Il tragico destino dei civili palestinesi a Gaza è l’intrappolamento in un contesto territoriale sotto blocco e bombardamenti. Hamas ha deciso di colpire Israele dalla Striscia in un momento nel quale lo Stato ebraico si sentiva geopoliticamente fiducioso a causa di una normalizzazione in corso con paesi arabi: dopo gli accordi di Abramo (2020) con gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco aspirava al reciproco formale riconoscimento con l’Arabia Saudita, la potenza maggiore nel mondo sunnita del Medio Oriente. I processi hanno avuto tutti la regia americana nel tentativo di creare nella regione un contrappeso all’influenza dell’Iran, rivale di Washington, Tel Aviv e Riad. Malgrado (su input cinese) Teheran e Riad siano ritornati recentemente ad avere contatti dopo un lungo periodo di gelo, il raggiungimento dell’egemonia regionale rimane il loro fine ultimo, obiettivo che li mantiene geopoliticamente contrapposti. L’attacco del 7 ottobre su Israle da Hamas ha congelato il processo di riavvicinamento tra lo Stato ebraico e la monarchia saudita, la quale di fronte alla prospettiva di soprassedere sulla reazione militare israeliana che colpisce una popolazione araba o condannarla esercita solo la seconda. Hamas e Iran (il suo finanziatore principale ma non manovratore) sono entrambi uniti in questa guerra dal fine ultimo di infliggere ad Israle alti costi da far abbassare il senso di deterrenza che esso esercita sui suoi rivali. Il primo uno stato teocratico sciita, il secondo un partito-organizzazione sunnita palestinese, Iran e Hamas sono accomunati in una relazione di interessi che frutta a loro il minacciare il paese ebraico sulle sue frontiere occidentali con Gaza. Sui confini israeliani l’organizzazione sunnita fa parte di un anello di fuoco attorno allo Stato ebraico completato più a settentrione dalle milizie filoiraniane in Siria e Libano (dove opera Hezbollah) che Teheran potrebbe attivare se Israele decidesse di colpirlo direttamente.
A Gaza scenari di guerra urbana
Poco dopo la nomina a capo dello stato maggiore israeliano il generale Aviv Kochavi espose la “dottrina della vittoria”, distribuita all’esercito nel 2020 e basata sullo scopo di abilitare Israele ad attaccare in brevi guerre mirate a raggiungere il massimo numero delle capacità nemiche distrutte nel minor tempo possibile con il minimo numero delle perdite. Una sua prima fase (in pieno svolgimento nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre) prevede la distruzione tramite bombardamenti di obiettivi nemici già identificati. Oltre agli scopi strettamenti militari, la ricercata brevità del conflitto contenuta nella dottrina incorpora anche l’obiettivo politico di ritardare l’inevitabile pressione politica della comunità internazionale per contenerlo e terminarlo.
Nel caso di una invasione di terra di Gaza il raggiungimento degli scopi si prevede molto costoso: nel 2014 la scenaristica dei militari di Tel Aviv per una conquista della Striscia prevedeva la morte di centinaia di soldati israeliani e quasi 10.000 palestinesi.
L’occupazione di centri urbani è parte delle esercitazioni svolte dall’esercito israeliano. Dopo ricognizioni materiali delle forze speciali, i carri armati e bulldozer potrebbero entrare a Gaza lentamente per controllare meglio il terreno ed evitare il più possibile la perdita di vita dei soldati israeliani. Israele troverebbe a contrastarlo militarmente difensori conoscitori del terreno di battaglia da essi scelto: i combattenti di Hamas, quelli di altri gruppi palestinesi presenti nella Striscia e i cittadini che li affiancherebbero. Dopo aver superato una resistenza urbana fatta di trappole esplosive, cecchini e possibili attentatori suicidi, per arrivare alla vittoria “totale” gli israeliani dovrebbero penetrare i tunnel sotterranei che servono ad Hamas da vie di collegamento per operare più efficamente nelle condizioni di blocco alle quali Gaza è sottoposta. In questa guerra underground l’alta superiorità tecnologica e di armamenti degli israeliani è minimizzato dall’impossibilità di utilizzarla in pieno ma la distruzione di quasi tutti i tunnel rimane la condizione indispensabile per avvicinarsi all’obiettivo di massimo scorporo della potenza di Hamas.
La deterrenza filoisraeliana degli USA
Partner imprescindibile di Israele sullo scacchiere mediorientale per contenere l’Iran e per avere nel Medio Oriente un socio più affidabile di Turchia, Arabia Saudita o Egitto, gli Stati Uniti – nelle parole del presidente Joe Biden e del segretario di Stato di Washington Anthony Blinken – si trovano “spalla a spalla” a Tel Aviv in questo conflitto. Come annunciato dal consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, Washington ha avvisato Teheran a non approfittare delle difficoltà dello Stato ebraico per attivarle contro le forze filoiraniane parte dell’anello di fuoco. Sopratutto in caso di indebolimento militare israeliano a Gaza o sofferenze protratte della popolazione palestinese nella Striscia queste milizie sarebbero tentate – dopo il placet della Repubblica Islamica – ad intervenire contro Tel Aviv ma la prospettiva di affrontare la congiunta risposta militare di Israele e Stati Uniti (che hanno rafforzato la presenza nel Mediterraneo Orientale avvicinando due gruppi navali d’attacco alle coste mediorientali) su di esse e potenzialmente sullo stesso Iran potrebbe costituire efficace deterrente a contenere Teheran.
Quale pace possibile?
Nel 1973 il presidente egiziano Sadat lanciò la Guerra dello Yom Kippur per affrancare la nazione araba dalla soggezione della superiorità militare israeliana e costringere lo Stato ebraico a una pace e mutuo riconoscimento con l’Egitto, risultati i quali – una volta raggiunti con la decisiva mediazione americana – egli pagò con la propria vita. Hamas e l’Iran sono entità rivoluzionarie che mirano alla distruzione di Israele per costituire in Palestina un caposaldo di un Medio Oriente dominato dall’Islam politico; il loro ruolo può essere minimizzato attraverso un processo politico che mantenga coinvolte le forze laiche palestinesi e i paesi dell’area che riconoscono Israele dopo che Tel Aviv abbia superato l’attuale shock di insicurezza. La guerra ha già riportato pienamente in Medio Oriente la superpotenza Stati Uniti, i quali come partner geopolitico di Israele e di importanti paesi arabi (Arabia Saudita ed Egitto in primis) costituiscono un principale mediatore dei conflitti dell’area. Se Gaza ritornerà sotto il diretto controllo dello Stato ebraico il banco di prova per una pace durevole sarà il livello di amministrazione che si avrà nella Striscia attraverso un eventuale regime internazionalizzato che coinvolga anche l’ONU e potenzialmente i paesi arabi che riconoscono lo Stato ebraico.