L’evoluzione della specie umana affonda le radici nell’homo habilis, ovvero il pre-uomo capace di scegliere i materiali per costruire utensili e metterli assieme per creare oggetti secondo necessità; poi (con dei salti evoluzionistici) è sopraggiunto l’homo erectus, che sapeva usare amigdale, scavare radici e tagliare pelli; ancora, nel mondo è approdato l’homo neanderthalensis, in grado di accendere fuochi, e infine l’homo sapiens, piuttosto simile all’uomo moderno. Anzi, in alcuni casi forse perfino superiore. Quanto scritto sopra serve a ricordare che, nonostante le evoluzioni della specie, che costituiscono tutt’oggi il mistero e la bellezza dell’essere umano, contemporaneamente è sorto un nuovo genere: l’homo mediocris. L’uomo medio, l’individuo galleggiante, incolore, che non sfida le onde e neppure si lascia definitivamente andare in loro balìa. Vive secondo i costumi altrui, i dettami degli altri e aspira ad essere se stesso. Ossia, aspira alla mediocrità.
L’uomo mediocre è colui che tende alla media: il conformista per eccellenza. Ostenta il vanto di assomigliare a dei prototipi, che ritiene essere la massima forma di estetica (che sia la moda, la ricerca del trendy, la mitomania), manifesta il desiderio di essere negli schemi, perché chi non naviga col vento in poppa è un incivile e un pavido.
L’uomo medio detta legge: è il dittatore della mediocrazia. E comanda non sulla base di una legge non scritta ma pensata da lui, bensì dagli altri. Ubbidiente e desideroso che gli altri ubbidiscano.
Quando nasce il termine “mediocrazia”? In verità, compare già nel XVII secolo, grazie a Jean de La Bruyère (scrittore, aforista, moralista. N.d.A.), il quale fra i suoi personaggi descrive un tale Celso, uomo dai scarsi meriti e privo di abilità, che tuttavia riesce a farsi strada tra i potenti grazie a intrighi e pettegolezzi.
Celso, il primo mediocre, è la morte dell’intellettuale. E con lui tutti gli uomini medi che, a partire dal Seicento (secolo in cui “nacque” Celso), si sono susseguiti fino ad oggi. Il medio è un sofista contemporaneo che, omologatosi, prova a convincere tutti che il suo status sia quello da seguire. Mentre i coraggiosi escono dal gioco, i mediocri si sottomettono alle regole con un asservimento religioso, quasi bigotto.
Il “siamo tutti uguali” ha distrutto l’etica del merito e ha creato una società bassa come una siepe. Siamo sì tutti uguali (non potrebbe usarsi altro termine, se si volessero rispettare le Costituzioni moderne, che trattano proprio di “uguaglianza”), ma nelle diversità in noi connaturate. Uno vale uno è sbagliato. Difatti, se l’ “uno” vale davvero, cioè possiede competenza, stile, professionalità et cetera, allora può valere anche dieci, perché con il suo repertorio di doti sarà una forza per la società, non un cancro. Quanto detto rappresenta la disuguaglianza del valore, la fatica individuale. La meritocrazia autentica.
Più di 150 anni fa, Henri-Frédéric Amiel, professore di letteratura francese, di estetica e di filosofia, nella sua opera “Journal intime” (12 volumi, 17mila pagine circa. N.d.A.) scrisse: “[…] sarà la punizione del principio astratto dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante dall’istruirsi, l’imbecille dal giudicarsi, il bambino dall’essere uomo e il delinquente dal correggersi”.
Come ribaltare la dittatura della mediocrazia? L’espediente è la condivisione della cultura come orizzonte ampio, anziché circoscritto. Tutti noi dovremmo assomigliare agli Argonauti, impegnati in un viaggio alla ricerca del vello d’oro, per ricucire i fili di una società alla deriva, esattamente come gli eroi greci. Argonauti moderni, traslati nel futuro ma con le medesime virtù del passato. D’altronde, gli eretici salveranno l’ortodossia.