La Cina e le prove di forza su Taiwan

Continuano le manovre militari della Cina intorno all’isola di Taiwan, un gioco forza che a più riprese mira ad assoggettare, definitivamente, l’”isola ribelle” a Pechino

Se esiste una reale volontà di Xi Jing Ping di usare la forza per ripotare Taiwan sotto la sua egemonia, le manovre esercitate lungo le coste taiwanesi celano anche un poco velato tentativo di mostrare i muscoli a Trump. Nei giorni scorsi, a più riprese, la Cina ha svolto una serie di operazioni militari vicino alle coste dell’isola, rea di essersi resa indipendente dalla Cina già dal lontano ’49, da quando cioè, alla fine della guerra civile tra nazionalisti e comunisti (1927-1949), il Partito Nazionalista cinese (Kuomintang, KMT), guidato da Chang Kai-shek, che aveva perso contro il Partito Comunista Cinese (PCC), si rifugiò a Taiwan, dove continuò a considerarsi il governo legittimo fondando la “Repubblica di Cina”. Nello stesso anno, il PCC con a capo Mao Zedong, fondò a Pechino l’attuale Repubblica Popolare Cinese (RPC) mentre Taiwan restò politicamente separata dalla stessa non riconoscendo il regime di Mao. 

Sebbene Taiwan non abbia mai dichiarato formalmente l’indipendenza, il governo di Pechino considera l’isola parte integrante della sua sovranità, mentre quest’ultima si definisce come un’entità politica indipendente. Questa diatriba, che divenne particolarmente aspra durante gli anni della guerra fredda determinando diversi momenti di tensione tra Pechino e Washington, negli ultimi mesi si è nuovamente acuita, con la Cina che ha intrapreso esercitazioni congiunte attorno a Taiwan coinvolgendo forze terrestri, navali e aeree. Secondo il Ministero della difesa taiwanese, le manovre, che hanno coinvolto una settantina di velivoli e 19 navi da guerra, fra cui una portaerei della Marina mandarina, hanno incluso simulazioni di blocco navale attorno all’isola ed attacchi ad obiettivi strategici, rappresentando un “severo avvertimento” ai movimenti separatisti taiwanesi: “Un’azione legittima e necessaria per salvaguardare la sovranità e l’unità nazionale della Cina”, ha dichiarato Pechino, mentre Taiwan le ha considerate “sconsiderate e irresponsabili”. Non solo: sembra che Pechino abbia preparato un ponte di chiatte galleggiante che potrebbe essere utilizzato per far sbarcare truppe cinesi sulle coste taiwanesi, supportando in tal senso l’accusa verso il governo taiwanese di incitare al separatismo e di preparare le basi per un conflitto contro la Cina. Ancora, Su Tzu-yun, direttore dell’Istituto per la Sicurezza Nazionale di Taiwan, ha dichiarato che i recenti movimenti cinesi sono stati una “sorpresa” ma evidenziano l’intensificazione della pressione sull’isola. Da notare in ogni caso, che le stesse arrivano proprio pochi giorni dopo la visita del segretario alla Difesa USA Pete Hegseth in Asia, che ha ribadito l’impegno degli Stati Uniti a mantenere la sicurezza nel settore Indo-Pacifico: una risposta non nuova per la Cina a visite ufficiali di funzionari stranieri, come avvenne già, ad esempio, nel 2022, quando il presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, fece visita a Taiwan. Da qui deducibile di come e quanto l’influenza degli Stati Uniti abbia un ruolo chiave negli equilibri fra i due antagonisti: gli Usa infatti – ma così come altri Stati occidentali – se formalmente non abbiano mai riconosciuto Taiwan come uno stato indipendente e non abbiano dunque alcun trattato formale di difesa con quest’ultima, hanno di fatto spesso adottato una politica di “ambiguità strategica”, con un sostegno all’isola che seppur non esplicito, de facto condanna le pressioni cinesi, fornendo tra l’altro a Taiwan armi e supporto militare, finalizzato a mantenere un equilibrio di supervisione (leggi di potere) nella zona.

Perché alla Cina interessa così tanto Taiwan e perché interessa anche all’Occidente

La situazione tra la Cina e Taiwan è estremamente complessa e delicata, con radici storiche, politiche e geopolitiche profonde, con un progressivo intensificarsi delle manovre militari cinesi nelle acque e nello spazio aereo attorno all’isola accresciute negli ultimi anni. Se Pechino ha sempre mantenuto una forte rigidità circa la sua posizione nei confronti della volontà di indipendenza della “provincia ribelle”, sotto la leadership di Xi Jin Ping sono aumentate le tensioni diplomatiche, economiche e militari, considerando le dichiarazioni, anche recenti, del Segretario del PCC di voler “riunificare” Taiwan. Dall’altra, il Partito Democratico Progressista (DPP), che ad oggi ancora governa Taiwan, continua invece ad essere favorevole ad una separazione da Pechino, promuovendo un’identità taiwanese distinta ed ottenendo il sostegno da un sempre maggiore seguito nella popolazione, che non vede di buon occhio una riunificazione con la Cina sotto le condizioni di Pechino. Ma Pechino non cede: non si tratta solo di perdere una parte del proprio territorio, le motivazioni sono estese a rischi strategici oltre che economici. In primis, va considerato l’isolazionismo in cui la Cina versa da sempre e di cui la stessa ha sempre sofferto. Xi Jin Ping sa perfettamente che al suo Paese manca la possibilità di essere presente militarmente, in quanto non ha la capacità di dislocare le proprie flotte in giro per il globo – parliamo di flotte proprio perché la Cina possiede un arsenale militare principalmente marittimo, per ovvi motivi derivanti dalla sua prerogativa geografica. Dunque, il Presidente cinese ha un forte interesse in un’espansione costiera che, nel suo caso, passa – anche – attraverso una collocazione impositiva sull’isola di Taiwan, quindi attraverso una riunificazione con la provincia stessa. Ma c’è un altro motivo alla base delle attuali manovre cinesi su Taiwan: l’avvicinamento tra Trump e Putin da una parte ed i dazi imposti da Trump dall’altra.

Rispetto al primo punto, la Cina, da sempre “amica” della Russia, si sente esclusa da patteggiamenti e strette di mano, che potrebbero isolarla anche da un punto di vista politico sulla scena internazionale, avendo, tutto sommato e quasi sommessamente scelto di inserirsi nella guerra russo-ucraina in modo morbido, offrendosi principalmente come mediatrice. Ma i fatti ci hanno spiazzato con la mediazione, invece, statunitense, avendo escluso anche l’Unione europea da quella che sembrava una trattativa risolutiva ma che ad oggi invece non si è ancora chiusa. In effetti il rapporto Xi-Putin, come dichiarano molti analisti, è piuttosto cambiato, proprio in conseguenza della guerra in Ucraina: Xi ha accusato Putin di non averlo avvertito dell’invasione e se da una parte Xi sostiene Putin per poter sfruttare il suo gas, dall’altra risente della guerra e vuole preservare gli scambi commerciali con Usa e Ue. Rispetto al secondo punto, l’acuirsi dell’atteggiamento trumpiano rispetto ai dazi dei quali i più pesanti premono proprio sulla Cina (sarebbero arrivati al 145% influenzando negativamente i mercati finanziari globali e causando un crollo a Wall Street e Tokyo), starebbe allertando Xi ed il suo entourage, specialmente considerando la notizia del 10 aprile secondo cui Trump li avrebbe temporaneamente sospesi per oltre 75 Paesi, compresi quelli dell’Unione Europea, mantenendo per tutti una tariffa del 10% meno che per la Cina.

Tornando a Taiwan, se sul fronte delle relazioni internazionali la Cina esercita importanti pressioni diplomatiche sugli altri paesi affinché non riconoscano Taiwan come uno Stato sovrano – ed in effetti pochi paesi hanno relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan –  la maggior parte dei paesi occidentali mantiene relazioni non ufficiali con quest’ultima, supportando la sua partecipazione in organizzazioni internazionali, nonostante la continua minaccia di ritorsioni da parte della Cina. L’interesse dei paesi occidentali, ma anche degli Stati Uniti su Taiwan è chiara: Taiwan è una potenza economica globale, soprattutto nel settore della tecnologia e nella produzione di semiconduttori, basilare per le catene di approvvigionamento mondiali, il che la rende di notevole importanza strategica, avvolgendola in un’aura di necessario “protezionismo” da parte dei paesi occidentali che dunque non avallano la sua indipendenza ma nemmeno appoggiano le pressioni cinesi. E dunque Xi mostra i muscoli: preme su Taiwan facendosi indirettamente “vedere” da Trump in particolare quindi, ad oggi, rispetto alle eventuali conseguenze dei dazi americani sulla produzione dei semiconduttori, aspirando a risposte – militari ed economiche – che non defilino la Cina nel contesto internazionale. La speranza è che la situazione possa evolversi senza un conflitto aperto, ma la crescente assertività della Cina lascia temere ulteriori momenti di instabilità.

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