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Nel 2018, La Corte Editore –casa editrice torinese, fondata nel 2008 da Gianni La Corte e incentrata principalmente sulla narrativa (Fantasy, Thriller, romanzi sentimentali e storici)– ha pubblicato il primo romanzo di Clara Caroli: “La casa dei cuori sospesi”. Una storia corale, con tanti personaggi; “un libro che regala qualche sorriso e qualche lacrima, e alla fine lascia contenti”.
Ne abbiamo parlato con l’autrice.
La casa dei cuori sospesi racconta una storia polifonica, con al centro Romina e Stella, due amiche che gestiscono insieme la libreria Non è una Pizza e convivono in un’ampia casa immersa tra le colline di Moncalieri.
Da dove nasce questa storia?
Il nucleo centrale del romanzo –Romina e Stella, la loro amicizia, la libreria– viene da lontano. L’idea della storia mi ha accompagnata, nel corso degli anni, come una valigia, uno scatolone, una di quelle cose che ti porti dietro nei tuoi vari spostamenti. Manteneva quel senso di incompiuto che cominciava a darmi fastidio, quindi a un certo punto mi sono detta: ok, è ora di portare a termine il progetto. E così ho fatto. Decisiva in quel momento è stata la location, la casa sulla collina di Moncalieri nella quale abitavo; che è diventata un personaggio essa stessa, all’interno di una trama che nel frattempo si era molto articolata.
Quale è il tuo rapporto con la scrittura di un romanzo?
La scrittura fa parte della mia vita da sempre. Ho fatto la giornalista per oltre vent’anni, mio padre era un giornalista, un poeta, uno scrittore. Sono cresciuta in mezzo alle parole. Dopodiché scrivere un romanzo richiede disciplina, certo. Ma deve fare i conti anche con un elemento più volatile: l’ispirazione. È un qualcosa che non si può forzare. Con gli anni ho imparato ad essere paziente, ad aspettare che la buona idea arrivi, si formi. Nel frattempo, faccio grandi camminate.
E come cambia rispetto al tuo approccio alla scrittura giornalistica, più veloce e spontanea?
Spontanea no, anzi. La scrittura giornalistica ha tempi e modi molto rigidi. Ma la velocità, quella sì. Scrivere per un quotidiano è come correre i cento metri mentre portare a termine un romanzo, restando nella metafora, è come correre la maratona. Per me il ritmo dei giornali, reso frenetico dal digitale, era diventato insostenibile. Così ho abbandonato e ora scrivo solo storie.
Gestire una libreria, al giorno d’oggi, appare un’impresa difficile e economicamente, poco appoggiata dai più. Siamo nell’epoca in cui i libri arrivano nelle nostre case portati direttamente dai camion Amazon in tempi record. Tuttavia, Romina e Stella credono nel loro lavoro e nell’importanza di un luogo d’incontro come quello della libreria. Cosa pensi a riguardo? Sei una lettrice che continua ad acquistare i libri in loco, in libreria?
La libreria Non è una Pizza (mi sono molto divertita a darle questo nome) è un luogo sentimentale più che fisico. E rappresenta il mio amore per i libri e le librerie. Nella storia fa da collante al rapporto delle due amiche ma è piuttosto laterale, rispetto alla trama. Nella realtà penso che i negozi di libri abbiano appunto un ruolo sociale, oltre che culturale, molto importante. Quanto ad Amazon vs librerie, beh, come si fa a non tifare per il più debole?
Come mai hai deciso di dare al tuo romanzo questo titolo? Cosa stanno cercando – cosa stanno aspettando – questi “cuori sospesi”?
I personaggi principali del romanzo sono precari, dal punto di vista sentimentale. Scombinati, alla ricerca di qualcosa. O di qualcuno. È un po’ l’idea del “caffè sospeso” napoletano, che viene lasciato per chi arriverà dopo. Ecco, i miei personaggi sono così: in attesa di qualcosa che arriverà dopo. E se è l’amore, tanto meglio.
Il tuo romanzo è ambientato a Moncalieri e a Torino. Quanto sono importanti per te questi luoghi? Esiste realmente una casa accogliente, e immersa nel verde, come quella a Moncalieri?
La casa esiste, eccome. Ed è esattamente come la descrivo nel romanzo. Per il resto ho ambientato la storia nei luoghi che conosco e che mi sono più familiari. A parte Moncalieri, alcune parti affascinanti e vivacissime di Torino, come il quartiere San Salvario e il Quadrilatero, e dei suoi dintorni (il Castello di Rivoli). Luoghi che amo e che ho frequentato ed esplorato in lungo e in largo come giornalista culturale.
Amicizia e amore: quanto contano questi due sentimenti nella vita dei personaggi? E il sentimento dell’amicizia –che, alla fine, è una forma d’amore– prevale sull’amore?
Il tema dell’amicizia è centrale. La domanda che mi stava a cuore era proprio questa: fino a che punto si può arrivare, in un’amicizia? E non vado oltre per non svelare troppo. L’amore si percepisce, è un’atmosfera che pervade il romanzo ma sotto forma di attesa. Nella storia a mio parere c’è soprattutto solidarietà. Gli abitanti di questa casa magica, ma anche gli altri personaggi, sono pronti ad aiutarsi e a sostenere chi è in difficoltà. Questo sentimento mi piace moltissimo. L’ho vissuto, esiste. Ciò che salva nei momenti difficili sono le persone.
Centrale nel tuo libro è il rapporto con il mondo animale. Spesso, infatti, nel corso della narrazione, gli animali, gatti o cani, intervengono nella vita dei loro padroni, salvandoli o comunque aiutandoli a capire meglio se stessi.
Quant’è importante, per te, la relazione con il mondo degli animali e con quello, prossimo, dei veterinari?
Al momento condivido la mia abitazione con tre gatti e un cane. Giusto per farti capire quanto contano per me gli animali. Sono presenze fondamentali. Nel romanzo affido a loro alcuni snodi importanti della trama, sì. Come nella vita reale, sono un motore di emozioni. Generano tenerezza, gioia, commozione. Mettono in contatto diretto con il cuore. Mi piaceva, sin dall’inizio, che la storia girasse attorno alla figura di un veterinario. Ai miei occhi ha il fascino di un eroe. Sono grata ai veterinari che in un paio di occasioni hanno salvato la vita dei miei gatti. Diciamo che è un omaggio alla categoria.
Stai scrivendo un nuovo romanzo? Sarà sempre un romanzo corale e ambientato a Moncalieri e Torino?
Sì, sono al lavoro su una nuova storia. Sarà ancora un romanzo a più voci: sei personaggi principali. Se “La casa” era ambientata in un inverno molto secco, questo inizia in una primavera terribilmente piovosa. Non posso dire altro. Se non che avrà confini più vasti, tra Torino e il mondo. E sarà ancora una commedia. Il mio registro preferito è l’ironia. Ma il difficile è proprio questo. Trovare lo spirito giusto. Come dicono i francesi: l’esprit.
Un ringraziamento all’autrice per la sua gentilezza e disponibilità.