“La bastarda di Istanbul”: Elif Shafak aveva ragione

Si riaccendono le proteste in Turchia, a un mese dalle manifestazioni degli studenti a seguito delle decisioni di Erdoğan e del suo partito. Questa volta, a scendere in piazza – ad Istanbul come in altre città – sono le donne, lese nei loro diritti fondamentali.

Questo perché il presidente turco ha deciso di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, firmata nel lontano 7 aprile 2011, per porre fine alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, di cui si registra un alto tasso solo nella suddetta città.

La vicenda desta alquanto stupore e scandalo dato che la Turchia è stata la prima nazione a ratificarla nel 2012 (con il partito AKP al comando). La Convenzione di Istanbul chiede ai governi che l’hanno ratificata (dapprima 32 Paesi) di adottare misure adeguate a contrastare tutte le forme di violenza contro le donne e la violenza domestica. L’obiettivo è quello di evitare il più possibile i femminicidi – tutt’oggi purtroppo ancora molto elevati nei vari paesi – aiutare le vittime e garantire che gli artefici siano portati davanti alla giustizia.

Esige che vengano criminalizzate e legalmente punite varie tipologie di reato, per esempio mutilazioni genitali femminili, matrimonio forzato, stalking, aborto forzato, sterilizzazione forzata, indipendentemente dalla razza, età, status sociale, genere, religione.

Purtroppo, nonostante questa convenzione e le varie misure preventive questi fenomeni accadono ancora molto spesso. Basti pensare che solo in Turchia si compiono 3 femminicidi al giorno e solo l’anno scorso si sono registrati 300 decessi. Dati che vengono aggiornati e riportati costantemente nella piattaforma dedicata “We will stop Feminicide”, dove ricorre l’hashtag #istanbulconventionsaveslives.

Dunque, immaginiamo per un momento numerose donne in tutto il mondo che combattono ogni giorno per rimanere in vita, sopportando soprusi di ogni genere, l’amore malato dai propri mariti disposti anche a venderle per virilità o per farsi dimostrare rispetto… ora restringiamo il campo alla nazione – ponte tra Occidente e Oriente, dove è concesso il divorzio ma il matrimonio è sacro, dove si può essere lesbiche o omossessuali ma si vedono negati i diritti più banali; dove c’è volontà di incontrare e abbracciare appieno la cultura occidentale rimanendo vincolati a quella orientale. Luoghi in cui le donne un po’ più stravaganti – come descrive Elif Shafak nel libro “La bastarda di Istanbul” – sono considerate volgari, perché hanno un piercing al naso, qualche tatuaggio di troppo che non sia fatto con l’hennè, portano una minigonna troppo corta, scarpe con i tacchi e non indossano il velo o se, semplicemente, non rispettano i momenti di preghiera. Ebbene, tra queste ci sono le vittime ad oggi non più protette dalla Convenzione di Istanbul, che pur non aveva portato grandi cambiamenti.

Chi meglio di Elif può farci conoscere queste realtà, anche se raccontate sotto forma di storie romanzate (anche se non troppo)? È stata definita dai critici come un’autrice in cui si armonizzano in modo creativo la tradizione occidentale e quella orientale, fino a generare un’opera narrativa che è insieme locale e universale.

La Şafak ha una scrittura provocatoria nei confronti del bigottismo e della xenofobia ed è profondamente legata ai temi del femminismo. Istanbul è l’ambientazione preminente nei suoi scritti: la rappresenta come una “She-city” e la paragona a una vecchia donna con un cuore giovane che è eternamente alla ricerca di nuove storie e nuovi amori. Come osserva lei stessa: “Istanbul permette di comprendere, forse non razionalmente ma intuitivamente, che Oriente e Occidente sono in ultima istanza concetti immaginari, e quindi possono essere immaginati di nuovo e diversamente”. Nel Time, sempre la Şafak, ha scritto: “Oriente e Occidente […] Possono essere mescolati. E in una città come Istanbul essi sono combinati intensamente, incessantemente e incredibilmente”.

In un pezzo da lei scritto per la BBC dice: “Istanbul è come un’enorme Matrioška piena di colori: la apri e trovi un’altra bambola dentro. Apri questa, solo per vedere che è inserita una nuova bambola. È una sala di specchi dove niente è esattamente come sembra. Si dovrebbe essere prudenti quando si usano certe categorie per parlare di Istanbul. Una cosa questa città non è di sicuro, i clichés.”.

20 marzo 2021: la revoca

Il ministro per la famiglia Zehra Zumrut Selcuk sostiene che la protezione e i diritti delle donne sono già garantiti nella legislazione turca e dunque non è necessario continuare ad aderire alla Convenzione di Istanbul. Spiegazioni poco convincenti che provano a nascondere le vere ragioni di tale scelta. Non è più un segreto che Erdoğan sta perdendo popolarità, soprattutto nella città di Istanbul governata dal partito di opposizione, e che, quindi si dimostra molto più occidentale rispetto alla capitale. Si ricorre, perciò, all’aiuto dei conservatori e islamisti oltranzisti, secondo cui questa Carta danneggia l’unità familiare, incoraggia il divorzio e l’uguaglianza viene strumentalizzata soprattutto dalla comunità Lgbt.

In opposizione troviamo schierati il partito socialdemocratico Chp, con leader Kemal Kilicdaroglu, che minaccia un ricorso al Consiglio di Stato di Ankara. Le donne turche – mamme, studentesse, lgbt, attiviste, scrittrici – sono scese in tutte le piazze di diverse città per riprendersi i loro diritti con lo slogan “Ritira la decisione, rispetta la Convenzione”. Al di fuori della nazione, invece, spettatore è il Consiglio d’Europa rappresentato dal segretario Marija Pejcinovic Buric, che si dice alquanto sconcertata per una decisione così devastante da parte della Turchia. Una decisione che segna “un’enorme battuta di arresto” per le iniziative internazionali a tutela di donne e ragazze vittime delle violenze “che affrontano ogni giorno nelle nostre società”. Decisione “tanto più deplorevole perché compromette la protezione delle donne in Turchia, in tutta Europa e oltre”, ha rimarcato la Buric.

Sempre più passi indietro, cara Sublime Porta.

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