Klimt e la Secessione

Dopo 110 anni dalla ricorrenza della premiazione all’Esposizione Internazionale d’Arte del 1911, l’artista austriaco Klimt torna a Roma con un’esposizione riguardante gli anni della Secessione presso il Museo di Roma a Palazzo Braschi. Una mostra promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina i Beni Culturali, che ripercorre l’intera esistenza artistica di Klimt sottolineandone il ruolo di cofondatore della Secessione viennese e il suo legame con l’Italia.

Tra la fine dell’Ottocento e inizi del Novecento, l’arte italiana per gli artisti austriaci rappresentava sia un necessario step di formazione sia un ostacolo verso la modernità. Da qui nasce il motto della Secessione (1897) “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”, di cui l’artista è il principale fondatore ed esponente. Ne disegna il primo manifesto raffigurante Teseo nudo che combatte il Minotauro. Le autorità censurarono il manifesto, decretando che i genitali dell’eroe dovessero essere nascosti da un tronco d’albero. I membri della Secessione non perseguono un linguaggio artistico uniforme ma ci sono differenze stilistiche: da una parte, i pittori alle prese con l’arte naturale e realistica, dall’altra quelli orientati verso l’Art Nouveau, come Klimt, Carl Moll o Ernst Stöhr. Queste differenze portarono ancora di più a profonde scissioni nel movimento fino a quando, nel 1905, Klimt, Moser, Hoffmann e Moll decisero di abbandonarlo.

La particolarità della Secessione è il forte legame tra le belle arti, l’architettura e il design. Infatti, oltre ai pittori fanno parte del movimento anche molti design e architetti che danno quel tocco di modernità con nuovi materiali e tecniche, volgendo uno sguardo alle tradizioni. Si raggiunge, dunque, un livello di esposizione diverso dal solito, fortemente innovativo, dove l’arte e la grafica si incontrano per formare un nuovo stile. Dal 1898 al 1903 la Secessione pubblica la rivista d’arte Ver Sacrum, per la quale Moser, Klimt e Josef Maria Auchentaller realizzarono molte grafiche. Moser e Hoffman hanno progettato anche oggetti artistici e artigianali con un’ampia varietà di materiali. Manufatti che a primo impatto sembrano ricordare oggettistiche tipiche delle case dei signori degli anni Settanta, raffinati e classici allo stesso tempo ma che non stancano mai.

Ma l’Italia è rimasta nel cuore di Klimt e per questo non ha smesso di manifestare il suo legame con il Bel Paese e con Roma in particolare. Si pensi, infatti, al padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann dove vennero esposti otto dipinti di Klimt.

I viaggi a Ravenna sono stati di grande ispirazione per l’artista,

soprattutto alla vista dei mosaici bizantini e per lo stupore mostrato di fronte all’utilizzo della foglia d’oro applicata sulla tela, che si ritrova ne Il Bacio e Le tre età della donna. Il 2 dicembre Klimt scrive così: «a Ravenna tante povere cose – i mosaici di uno splendore inaudito».

Al di là delle sue opere, l’Italia è per lui importante anche a livello sentimentale: dal suo flirt con Alma Schindler, con cui si baciò per la prima volta a Genova, ai soggiorni tra Verona e Ravenna documentati dalle cartoline e lettere che si scambiava con Emilie Flöge (Vienna, 1874 – 1952), ritenuta sua amica e musa (o forse anche più) probabilmente ritratta nel famoso quadro Il Bacio, sfortunatamente non presente alla mostra.

La mostra prosegue nelle sue sezioni. Ci troviamo nella sesta sezione, dedicata ai primi dieci anni del 1900 in cui l’artista ricopre ripetutamente – ma senza vergognarsene – il ruolo di artista dello scandalo perché si concentra sull’erotismo femminile nei suoi dipinti. Uno degli esempi che più rende omaggio al fascino dell’erotismo femminile è il ritratto di Giuditta (1901).

Un essere affascinante da cui l’erotismo e il pericolo vengono sprigionati in ugual misura, ma che allo stesso tempo richiama l’attenzione su un argomento molto dibattuto a Vienna all’inizio del XX secolo, il rapporto tra i sessi. Al centro dell’attenzione c’è il ruolo dell’uomo e della donna nella società, l’erotismo e la sessualità, concetti che a quei tempi erano tabù.

Forse anche per sfatare questi tabù, Klimt decide di dedicarsi quasi esclusivamente a ritratti femminili, mentre i ritratti di uomini sono molto rari. Il primo Ritratto di donna risale al 1894 circa e dimostra tutta la sua bravura nel padroneggiare una tecnica pittorica quasi foto realistica nei ritratti di donna di grandi dimensioni, mentre in quelli di piccolo formato su sfondo rosso della fine degli anni 1890 usa la tecnica impressionistica dello sfumato. In ogni suo ritratto, come si può notare durante tutta la mostra, cerca sempre nuove ispirazioni: nessun soggetto è uguale all’altro. Si avvicina lentamente anche allo studio della postura del modello: la settima sezione è caratterizzata da tanti bozzetti su carta su cui provava le varie posture, ispirandosi a commissioni a lui assegnate da parte di famiglie benestanti che volevano un ritratto delle proprie mogli.

Egli fu osservato con molta attenzione, inoltre, anche dalla critica italiana per i Quadri delle Facoltà a lui commissionati dall’Università di Vienna. I tre capolavori sono intitolati La Medicina, La Giurisprudenza e La Filosofia e furono distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale. Ne restano tracce solo in fotografie in bianco e nero e articoli di giornale. Grazie alla collaborazione tra Google Arts & Culture Lab Team e il Belvedere di Vienna, queste immagini fotografiche ritornano ad essere veri e propri dipinti. Frana Smola e Emil Wallner spiegano – nell’ottava sezione attraverso un video registrato – le fasi della ricostruzione dei quadri della facoltà. Si susseguono due fasi: la prima è una ricerca per rendere storicamente accurate le colorazioni dei tre dipinti ancora esistenti. Una volta raccolte queste testimonianze sono state messe a confronto da Smola con le colorazioni utilizzate da Klimt nei dipinti realizzati in quello stesso periodo. Nella seconda fase c’è stato il ripristino dei dipinti originali grazie all’apprendimento automatico. Mettendo insieme le testimonianze in bianco e nero e i riferimenti cromatici, dunque, sono stati in grado di collegare la scala di grigi delle fotografie con le colorazioni dei dipinti di Klimt ancora esistenti, restituendo ai quadri i loro colori originali.

Un’esperienza da non perdere e da vedere con attenzione, perché curata nei minimi dettagli. Anche se solo proiezioni fotografiche, sembrano veri. Ad oggi, questi quadri sono considerati le opere principali di Klimt, poiché in esse l’artista ha trattato l’erotismo e la sessualità in un modo che nessuno a Vienna aveva usato fare prima di lui.

Siamo quasi alla fine della mostra e nella nona sezione si entra in un ambiente immersivo in cui è stato ricreato il Fregio di Beethoven su tre pareti di una sala. Si tratta di un fregio lungo 34 m e due di altezza. Con esso, Klimt intendeva interpretare la Nona sinfonia (partendo da sinistra), partendo da un gruppo di figure femminili con le braccia tese in avanti che fluttuano nell’acqua. Queste incontrano prima figure nude con una giovane in piedi e una coppia in ginocchio che si rivolge a un cavaliere il quale, a sua volta, guarda verso la parete più scenografica in cui si riconoscono un mostro dalle sembianze di scimmia, tre Gorgoni, la Morte, altre figure femminili figlie del gigante Tifeo. Più distante è accovacciata una figura di donna quasi scheletrica davanti al corpo di serpente del mostro. Insomma, un’allegoria non tanto facile da interpretare dell’aspirazione alla felicità. I tre nudi simboleggiano le sofferenze dell’umanità, mentre implorano il cavaliere che intraprende la lotta per la felicità del genere umano in nome della Compassione e dell’Ambizione raffigurata alle sue spalle.

Sulla parete più piccola le forze ostili sono rappresentate dal gigante generato secondo la mitologia greca da Gea, dea della terra, e dal Dio degli inferi Tartaro. Lo affiancano le sue figlie Gorgoni, Malattia, Follia, Morte, figure che suscitarono nel pubblico scandalo e indignazione. A destra compaiono Lussuria, Impudicizia e Intemperanza. Davanti al corpo di serpente del mostro e alle sue possenti ali e accovacciata l’angoscia che rode, immagine di donna dall’espressione sconvolgente. I desideri e le aspirazioni dell’uomo, invece, si trovano sulla parete adiacente e avanzano verso la poesia, figura solitaria che suona la cetra, in cui si può trovare un po’ di felicità. Le arti, disposte verticalmente, precedono il coro degli angeli celesti che evoca il finale della sinfonia di Beethoven.

Dunque, con quest’ultima rappresentazione l’artista vuole ritrarre le arti come un regno ideale, l’unico in cui possiamo trovare pace, felicità e amore. Un momento culminante conclusivo del fregio è il bacio a tutto il mondo dei versi di Schiller, rappresentato dagli amanti nudi che si abbracciano.

Il 1900 è importante per Klimt non solo per i ritratti e le allegorie, ma anche per la pittura paesaggistica grazie ai continui viaggi estivi in meravigliosi luoghi del nostro bel paese.

L’artista ha come unico obiettivo quello di disegnare paesaggi senza nuvole e paradisiaci. Dal suo soggiorno presso il Lago di Garda, ad esempio, sono nati tre dipinti di grande formato: due di città (Malcesine e Cassone) e poi una rappresentazione di quella che per lui poteva essere una piacevole passeggiata in un giardino.

La parte più importante è la sala Klimt chiamata “tempietto” o “abside” per la sua forma semicircolare e per l’aura quasi sacrale. In questa sezione (la undicesima), Klimt presenta otto dipinti e quattro disegni che raffigurano ritratti, paesaggi e soggetti allegorici. Fra questi doveva esserci anche il celebre dipinto Il Bacio, oltre alla presenza di opere simboliche come La Morte e La Vita e La Giustizia, Le Bisce d’acqua I (o Le sorelle), raffigurate in maniera stilizzate.

Arriviamo all’ultima fase di attività di Klimt: la sua pittura non è più precisa come i primi lavori anzi, sembrano quasi spennellate sbrigative. Un esempio di questa particolare epoca dell’artista è il Ritratto di Signora, databile tra il 1916 e il 1917. Si scoprì che Klimt dipinse la sua opera sopra un quadro, ritenuto già disperso, raffigurante una donna con la stessa identica posa ma più abbigliata e acconciata. Questo effetto è stato ricreato nella mostra attraverso un QR Code che bisogna scansionare e che rimanda ad un filtro di Instagram, il quale permette di vedere la sagoma sottostante. Un gioco da poter ricreare in qualsiasi momento con l’immagine del ritratto a portata di mano.

Il quadro venne anche rubato nel febbraio 1997 dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, in circostanze ancora non ben chiare. Per la ricomparsa del quadro bisognerà aspettare ben 23 anni, ricomparsa che avviene in circostanze ancor più oscure del furto. Nel dicembre 2019 si attuavano lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del museo. Qui, in un piccolo vano chiuso, viene rinvenuto un sacchetto di plastica con all’interno il ritratto sotto la dicitura “Ritratto di signora di Klimt”.

Nel gennaio 1918 l’artista viene colpito da un ictus prima di compiere 56 anni, ed è in quest’ultimo periodo che risale l’opera di grande formato La Sposa. In alcune parti del quadro, come quella a sinistra, si nota una tecnica completata dell’opera, mentre altre parti mostrano i segni di tecniche di colorazione approssimative. Il tema è l’amore e il desiderio sensuale: al centro è raffigurata la sposa addormentata e in abito blu. La testa del suo partner è accanto a lei, mentre il suo corpo è nascosto da un gruppo di donne in posizioni diverse. Alcune sono raffigurate nude, altre vestite e rappresentano le varie sfaccettature delle esperienze erotiche di felicità a cui la sposa si abbandona.

Dunque, la rassegna romana di Palazzo Braschi merita di essere visitata: prendetevi un giorno libero, anche durante la settimana così da distogliervi dal lavoro quotidiano e di immergervi in un’atmosfera del tutto particolare. Scorrerete tra le varie sezioni con una certa continuità spazio – tempo, in cui l’intento di offrirvi un pittore geniale che ha saputo portare l’arte fuori dal tempo viene raggiunto.

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