Ricordiamo il grande regista, la sua poetica e i suoi film.
Jean Luc in tedesco è Hans Lucas ed è così che firmava i suoi primi saggi sul cinema, lui da sempre così incapace di separare l’arte dalla teoria dell’arte. È un intellettuale che faceva cinema anche solo parlandone, come un venditore ambulante. È un intellettuale, spartiacque tra classico e moderno, che con una libertà pari a quella degli scrittori ha innalzato il cinema a un rango artistico pari a quello della letteratura, dove il soggetto è sempre il Cinema e la vita è lo schermo.
I suoi film sono cortocircuiti, collisioni. Amputati e perfetti come la chioma di Berenice del mito. Cinema centrifugo che va verso il mondo, tra adattamento e riscrittura, tra plagio e citazione, tra Sartre e Debord. Un corridoio con tante porte, tante camere da aprire. Desiderio del desiderio. Bellezza e mistero della bellezza.
“Il cinema è il contrario della cultura”, diceva. E poi anche “non bisogna fare film politici, ma film politicamente”.
Di seguito i suoi essenziali che, secondo noi, sono “quattro più uno”. Non “cinque” ma “quattro più uno”.
Film Uno: Vivre sa Vie
Anna Karina è Nana, una prostituta che piange in una sala cinematografica mentre guarda La Passione di Giovanna d’Arco di Dreyer. Sogno spezzato di un’intera giovinezza, disillusione verso il mondo nel divenire della regione parigina. 12 capitoli, 12 frammenti di racconto non morale. Tragico e casuale.
Film Due: Alphaville
L’agente Lemmy Caution è in missione ad Alphaville, città dove parole come “amore”, “tenerezza” o “coscienza” sono state cancellate dal dizionario corrente. Chi cede a sentimentalismi è condannato come “difetto del sistema”. Il Cinema di genere (il noir, la Sci-fi) contaminato dalla letteratura del ‘900 (Kafka, Orwell). L’uomo è completamente omologato, descriverne uno è come descriverli tutti.
Film Tre: Week End
Corinne e Roland sono una coppia borghese in crisi che decide di passare un tranquillo weekend in campagna. Tra ingorghi infernali, cannibalismo e Hippie ossessionati con il poeta Lautréamont, i due vivranno una colorata apocalisse. Un Alice del Paese delle Meraviglie scritto da De Sade. Grottesco, irriverente. Un feroce assalto frontale alla società dei consumi, alla borghesia neocapitalista e al modello di democrazia occidentale. Godard sgranocchia il cinema fino ad arrivare all’osso.
Film Quattro: Pierrot le Fou
“La vita dovrebbe essere come un romanzo, in cui tutto ha una logica, ma non è così”, sentenzia Marianne. E allora fuga da tutto e da tutti. Una fuga come mezzo per alimentare l’idealizzazione. “Ci fu la civiltà ateniese, il Rinascimento, ed ora stiamo entrando nella civiltà del culo” sentenzia il regista Samuel Fuller (cameo indimenticabile) annoiato durante una festa. Iper-citazionista e rutilante, anarchico e frammentario. La struttura conta più della storia.
Film Quattro più uno: Une Femme Mariée
La struttura conta più della storia. Godard mercifica i suoi attori come lo fa lo strumento capitalistico della pubblicità. Il corpo di Charlotte è diviso tra il marito e l’amante. Una danza continua e penetrante di misoginia e femminismo. Avanguardia e lirismo, sesso e consapevolezza sociale. Erotico come Robert Mapplethorpe, prima di Robert Mapplethorpe.