La dinamica dei fatti, implicazioni e contesto internazionale
Ahoo Daryaei: sembra ormai certo sia questo il nome della studentessa iraniana che sabato scorso, 2 novembre, è stata arrestata dalla polizia di sicurezza dell’Università di Teheran dopo che era stata apostrofata per aver indossato in modo inappropriato l’hijab. La ragazza aveva dunque deciso di protestare spogliandosi dei vestiti nel cortile del Dipartimento di Scienza e Ricerca dell’Università Azad, restando dapprima seduta ed a braccia conserte per poi camminare con solo slip e reggiseno nei cortili dell’ateneo.
Da allora di lei non si hanno più notizie certe se non che sia stata trasferita e rinchiusa in un ospedale psichiatrico e la paura che possa subìre da parte della polizia iraniana la stessa sorte che toccò a Mahsa Amini, morta in seguito alle percosse ricevute per non aver indossato correttamente il velo il 16 settembre 2022, è tanta. La morte di Mahsa Amini è divenuta da subito un simbolo della condizione femminile e della violenza esercitata contro le donne nella Repubblica iraniana e provocò una serie di proteste in tutto il Paese che diedero vita al movimento “Donna, Vita, Libertà” e che portarono il Presidente Ebrahim Raisi, morto lo scorso 19 maggio in un incidente a bordo di un elicottero, a chiedere l’apertura di un indagine all’ex ministro dell’Interno Ahmad Vahidi.
E mentre dunque la Repubblica islamica minaccia una risposta feroce all’attacco di Israele dello scorso 26 ottobre, i social media rimbalzano il video che vede Ahou Daryaei come il nuovo simbolo della protesta delle donne iraniane contro un regime che, nonostante il nuovo Presidente “riformista” Massoud Pezeshkian, non accenna ad ammorbidirsi. Ed ecco dunque la versione dell’agenzia di stampa ufficiale iraniana Fars, citata dal Guardian, secondo cui la ragazza soffrirebbe di disturbi mentali e per questo, si dice, sia stata allontanata dapprima dalle aule dell’Università e poi fermata dalla polizia, ma è altrettanto noto e frequente da parte della polizia morale iraniana l’escamotage del dichiarare una persona insana mentalmente per giustificare la prigionia e, purtroppo, pene corporali.
Dice Shirin Ebadi, attivista iraniana e premioNobel: “Il trasferimento dei cittadini nei manicomi è la tortura più grave. È la ripetizione dello stesso scenario: il manifestante ha un `disturbo mentale´, dire che sono `malati´ è un vecchio metodo del sistema di repressione”. Il gesto della studentessa esprime la forza e la determinazione delle donne iraniane ad uscire dalla sottomissione del regime politico e religioso a cui sono sottoposte ed è uno degli esempi che ormai sono sempre più frequenti, così come emerge dai comunicati delle attiviste e delle organizzazioni per i diritti umani ad oggi fortemente preoccupate per il destino della studentessa. Scrive Narges Mohammadi, attivista e premio Nobel per la pace in carcere ad Evin: “La ragazza che protesta all’università ha trasformato il corpo femminile di cui il regime cerca di fare uno strumento di vergogna, repressione e sessualizzazione, in un potente simbolo di protesta contro di esso”. Protesta che i ragazzi di Teheran sentono fortemente ormai e togliere il velo rappresenta in particolare per le donne l’unico modo per contrastare un regime autocratico e per tentare di rivendicare e riaffermare la propria dignità, sfidando l’intero apparato ideologico che limita la loro libertà, sia di pensiero sia di azione. L’ hijab è un simbolo dunque, la cui imposizione lede la dignità personale.
Le proteste contro l’imposizione di indossare il velo risalgono alla Rivoluzione islamica del 1979, quando migliaia di donne scesero in piazza per opporsi alle nuove leggi varate dal governo di allora, leggi che avrebbero regolato il loro abbigliamento e la modalità di indossarlo. Da quel momento i tentativi di resistenza sono stati molteplici, benché spesso repressi con violenza, tanto che nel 2006 fu stata istituita la “polizia morale” iraniana, o Gasht-e-Ershad per garantire la rigorosa attuazione delle leggi sul velo. Tuttavia, le proteste del 2022 hanno segnato una svolta: le donne iraniane, appoggiate anche da uomini e giovani di ogni classe sociale, hanno reso pubblico e visibile il loro dissenso in modi senza precedenti ed oggi l’ampia eco dei social media la fa da padrone in un consenso di opinioni che premono per l’abolizione della cosiddetta “polizia morale” e per il ripristino delle libertà negate alle donne, libertà che in un regime impositivo vanno oltre al vestiario ma si ergono a pressione morale e politica.
Ecco perché il gesto di Ahou Daryaei è importante: sono già nate illustrazioni, disegni e scritte sui muri che inneggiano alla protesta ed alla solidarietà con Ahou Daryaei. L’opinione mondiale resta a guardare attenta e giudicante nei confronti dell’Iran, producendo appelli e dichiarazioni: “Monitorerò attentamente la situazione, compresa la risposta delle autorità”, ha ammonito su X la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Iran, Maio Sato, mentre si moltiplicano sui social gli omaggi al “coraggio eroico” della donna, insieme ad appelli ed hashtag per una ragazza già diventata il nuovo simbolo della lotta delle donne iraniane e per cui Amnesty International chiede l’immediato rilascio, condannando “accuse di percosse e violenza sessuale contro di lei durante l’arresto” e sollecitato “indagini indipendenti e imparziali”.
Lo sguardo del mondo è dunque su Teheran, un Paese che si è detto pronto ad attenuare la rigidità delle leggi sul velo ma che tarda di fatto ad accettare le pressioni che vengono specialmente dalle donne e dal ceto giovanile verso una apertura all’occidentalizzazione troppo difficile da accettare ma che invece continua ad essere contrastata dai padri in maniera indiscutibile, guardando con astio il potente malcontento civile, accentuato dalla guerra con Israele.