Per transizione energetica s’intende l’attuale elettrificazione dei consumi e la parallela decarbonizzazione dell’elettricità che li alimenta. Viene spesso raccontata attraverso il cosiddetto “triangolo dell’elettricità”, ovvero:
- generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili,
- elettrificazione dei consumi finali,
- digitalizzazione delle reti elettriche al fine di ottimizzare la gestione del sistema (e, in particolare, dell’energia pulita, prodotta all’interno di una rete originariamente pensata per essere “monodirezionale” – da produttore a consumatore – anziché “bidirezionale” – oggi il consumatore può anche essere “prosumer”) e, perché no?, creare nuovi servizi per tutti quei clienti che, con la sensibilizzazione ambientale, diventano sempre più coscienziosi e sofisticati.
Com’è intuibile, lo stoccaggio dell’energia prodotta dalle fonti non-tradizionali – la cui produzione è perlopiù volatile e il cui consumo deve spesso essere immediato, donde la necessità di un maggiore monitoraggio e, in particolare, che la previsione di domanda-e-offerta sia gestita da sofisticate intelligenze artificiali – costituisce una delle sfide tecnologiche più importanti della transizione energetica. Si spera che i nuovi sistemi di stoccaggio di energia termica e gravitazionale potranno consentire, entro la fine del decennio, una maggiore affidabilità delle e un’accresciuta fiducia verso le rinnovabili.
La Treccani definisce così la parola “prosumer”: chi è allo stesso tempo produttore e consumatore di un bene. Si spera che, con l’introduzione (nel 2019) delle “comunità energetiche rinnovabili” – associazioni tra cittadini, attività commerciali, autorità locali o imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di impianti per la produzione (con potenza complessiva inferiore a 200 kW) e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili (stoccata, se non immediatamente necessaria, in un apposito sistema di accumulo) – l’Italia faccia un significativo balzo in avanti verso il prosumerismo: guardando solo agli edifici residenziali, infatti, attualmente l’87% è di classe D o peggiore, in quanto il 57,28% di essi è stato costruito prima della crisi petrolifera del 1973.
La grande scommessa del XXI secolo – rilanciata energicamente nel 2021 attraverso “pre-COP26” (Milano), G20 (Roma), COP26 (Glasgow) e da potenziare ulteriormente, attraverso progettualità sempre più dettagliatamente definite e (conseguentemente) sempre più copiosamente finanziate, nelle prossime Conferenze delle Parti – è che questo sia lo schema ideale per coniugare:
- produzione di energia pulita,
- consumi più efficienti,
- impatti positivi sull’ambiente, sull’economia, sulla salute.
Per comprendere meglio la questione dei “consumi più efficienti” – i quali, tra l’altro, consentirebbero di portare avanti la transizione energetica senza dover necessariamente sacrificare la crescita economica (la quale, ad oggi, – come hanno fatto presente anche i cosiddetti “Paesi emergenti” alla COP26 – è ancora indispensabile per la diffusione del benessere e del progresso sociale) –, riportiamo le parole del CEO di Enel (2014-…), l’Ingegner Francesco Starace: “L’energia si sta sprecando in maniera importante nel trasporto. Il trasporto con motore a combustione interna spreca intorno al 70-80% dell’input energetico. Solo un 20-30% è trasformato in energia cinetica. Questo è uno spreco importante. È un limite tecnico, c’è poco da fare. La sostituzione della trazione a combustione interna con la trazione elettrica ribalta l’equazione: si trasforma in energia cinetica circa il 70% e se ne perde soltanto il 30%” (intervista a Fabio Bogo per “Prima Comunicazione”, 1 dicembre 2021). Inoltre, “il discorso è più o meno lo stesso [anche per il riscaldamento domestico]. Una pompa di calore elettrica ha dei rendimenti che non sono possibili con le caldaie tradizionali […] Aggiungo che l’elettricità si presta molto meglio del gas a essere gestita in forma digitale. Strumenti e sensori che abbiamo in casa rendono più precisa l’erogazione di energia, aiutandoci a risparmiarla” (ibidem).
Se con “elettrificazione”, invece, intendiamo – più genericamente della stretta definizione treccaniana (che riporta “complesso di operazioni con cui si rende atto un impianto a funzionare elettricamente”) – la diffusione dell’elettricità e del suo consumo, allora l’attuale elettrificazione costituisce la terza nella storia d’Italia:
- la prima, perlopiù finanziata da capitali privati, ha avuto il merito d’introdurre l’energia elettrica, anzitutto attraverso le centrali idroelettriche;
- la seconda, portata avanti dall’Enel per conto dello Stato – “Enel” sta per “Ente Nazionale per l’Energia eLettrica” ed era originariamente (1962-1963) nato in funzione della politica energetica elettrica dell’epoca (che era, come già in Francia, nazionale e oligopolistica) –, ha avuto il merito di renderla accessibile a tutti;
- la terza – nella quale l’Enel (oggi, a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico, società per azioni dal 1992) è leader, ma non player unico – è parte di quella che, più in generale, potremmo chiamare “rivoluzione della sostenibilità”.
Secondo lo studio del 2019 “Electrify Italy” della Enel foundation (in collaborazione con Politecnico di Torino e MIT) – che è consultabili cliccando qua e dal quale abbiamo preso l’immagine del triangolo –, l’elettrificazione in Italia può portare all’abbattimento del 68% delle emissioni di CO2 (“Electrify Italy”, Enel foundation, pag.15). Altri benefici sono la riduzione delle emissioni di Pm10 e di NOX e un risparmio apprezzabile nella spesa energetica delle famiglie.
Lo studio “Just E-volution 2030”, realizzato (nel 2019) da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Enel e Fondazione Centro Studi Enel ha stimato che la transizione energetica avrà un effetto netto positivo sull’occupazione che potrà aumentare al 2030 fino a 1,4 milioni di nuovi posti di lavoro nell’UE (dei quali oltre 170.000 in Italia).
È comprensibile che, pur facendo procedere parallelamente l’elettrificazione dei consumi e la decarbonizzazione dell’elettricità, il nostro Paese stia anche puntando sull’aiuto di una fonte energetica transitoria – meno carbon intensive rispetto al tradizionale petrolio – che funga da “ponte”: nel caso dell’Italia, si tratta del gas naturale. Tuttavia, nella generazione elettrica esso non è stato ultimamente – come si evince dalle analisi trimestrali condotte dall’ENEA – sempre economicamente vantaggioso. Altri Paesi, come la Francia, propongono d’impiegare il nucleare tradizionale (quello che fa uso della fissione). Si è anche recentemente (9 febbraio) riaccesa la speranza che la fusione nucleare possa effettivamente diventare operativa – e, chissà, forse anche diffondersi ed entrare a regime – entro la fine della prossima decade. Concludiamo facendo presente che la transizione energetica – oltre ad essere molto complessa, sia tecnologicamente sia economicamente, da spiegare – costituisce anche un’enorme trasformazione culturale: rientra infatti nel più generale superamento della filosofia usa-e-getta (che ha caratterizzato la crescita economica mondiale) in favore della più sostenibile (ma senza precedenti) economia circolare.