India, New Dheli: nube tossica invade la città. Forti i rischi per la popolazione mentre alla Cop 29 di Baku si cercano accordi e finanziamenti sul clima

Mentre a Baku si svolge la Cop29, la 30° Conferenza sul clima fra gli Stati del Nord e del Sud del mondo, a New Dheli è emergenza smog: rischi per la salute dell’intera popolazione

Se la Cop 29 di Baku, in Azerbaigian, sta volgendo al termine, dopo 11 giorni di lavoro e senza non poche polemiche e contraddizioni, non si attenua la nube tossica che da qualche giorno sta avvolgendo la capitale dell’India, New Dheli. La città è infatti avvolta da una coltre di smog che ha costretto le autorità locali a limitare in alcune aree della trafficatissima città la circolazione di mezzi e persone, invitando la popolazione, specialmente adulti e bambini, a non uscire dalle loro case. Chiuse anche le scuole primarie e medie, ad eccezione dei licei, oltre a cantieri di edifici pubblici e privati, come riporta la società IQAir, specializzata nel monitoraggio della qualità dell’aria, che segnala il massimo storico del livello di polveri sottili per il 2024 pari a 484 Aqi, addirittura alle 8 del mattino: secondo il Central Pollution Control Board, l’aumento è superiore a 60 volte i limiti raccomandati dall’Oms, con una percentuale media di PM2.5 che in alcune aree ha raggiunto quantità superiori ai 400 microgrammi per metro cubo d’aria – quando l’OMS raccomanda un limite massimo di soli 5 microgrammi per metro cubo. L’aria di New Delhi contiene concentrazioni di particolato ultra fine, il così detto PM2.5, di gran lunga superiori ai livelli considerati sicuri per la salute umana. Queste particelle microscopiche, altamente cancerogene, sono in grado di penetrare profondamente nei polmoni e nel sistema circolatorio, aumentando il rischio di malattie respiratorie, cardiovascolari e tumori molto più del particolato fine, il Pm 10.

La qualità dell’aria della capitale indiana è una delle peggiori al mondo. L’impatto sulla salute dei suoi abitanti è devastante, considerando inoltre che la situazione non è nuova per New Dehli. Le cause dell’inquinamento diffuso nella capitale indiana sono molteplici: è una delle città più congestionate al mondo dove si muovono milioni di veicoli ogni giorno, che si spostano principalmente nelle due lunghissime strade principali, Rajpath o King’s Way e Janpath. New Dheli è inoltre una città sempre in costruzione, con cantieri ed industrie che generano continuamente polveri nocive, in un sistema climatico che, specialmente in questo periodo, non aiuta: venti deboli ed alta umidità creano una cappa che intrappola gli inquinanti vicino al suolo, peggiorando drasticamente la qualità dell’aria. Ancora, il cosiddetto fenomeno dello stubble burning, per cuivengono generati forti incendi stagionali per preparare i campi alla semina e che rilasciano nell’aria enormi quantità di fumo. A tutto questo più volte il governo locale ha tentato di porre rimedio, incentivando ad esempio programmi per promuovere il passaggio a veicoli elettrici e migliorare i trasporti pubblici e, per quanto riguarda lo stubble burning, sostenendol’uso di macchinari che eliminano i residui senza bruciarli. Ma questi interventi tardano a realizzarsi, inserendosi in una generale crisi globale discussa proprio in questi giorni alla Cop29 di Baku, Azerbaigian.  

La Cop29 di Baku: rush finale della Conferenza, fra opzioni negoziali e bozza di accordo

L’attenzione degli Stati partecipanti alla Cop29, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che riunisce gli Stati del Nord e del Sud del mondo per discutere della crisi climatica e dei finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo e che quest’anno si svolge a Baku, in Azerbaigian, è tesa, fra le altre cose, ad una limitazione, se non esclusione, nell’utilizzo di combustibili fossili al fine della drastica riduzione di emissioni da Co2.

L’idea di partenza è stata quella di concretizzare tale limitazione attraverso reali accordi fra le parti che racchiudessero, in primis, l’impegno di escludere eventuali nuove aperture di centrali elettriche a carbone senza cattura di CO2, suggellando di fatto l’impegno all’utilizzo di forme alternative e sicuramente a basso o scarso impatto. E se proprio ieri è stata resa nota la prima bozza di documento – in fase revisionale e successivamente di approvazione – che impegna gli Stati in questo senso, firmato volontariamente da Regno Unito – che ha appena chiuso la sua ultima centrale elettrica a carbone – Canada, Francia, Germania e Australia, è altrettanto verso che Stati quali Cina, India e Stati Uniti non fanno parte del gruppo, escludendosi dunque di fatto da qualsiasi nuovo piano climatico condiviso. “L’impegno ad avviare la transizione dai combustibili fossili deve essere tradotto in azioni reali sul campo”, ha affermato Wopke Hoekstra, responsabile del clima presso la Commissione europea, mentre il ministro britannico per l’energia Ed Miliband ha dichiarato: “I nuovi progetti legati al carbone devono fermarsi”.

In particolare è stata L’Australia, con il nuovo governo laburista al potere dal 2022, a presentare il progetto climatico più ambizioso, nonostante sia un grande produttore di carbone, che è stato accolto con grande favore dalle Ong: “La porta del carbone è stata chiusa. Ora deve essere chiusa a chiave”, ha detto a Baku Erin Ryan, della filiale australiana del Climate Action Network. Per ciò che riguarda gli Stati del Sud del mondo, l’impegno è stato firmato da Angola, Uganda ed Etiopia, sviluppato con l’alleanza “Powering Past Coal”. L’altro punto importante discusso alla Conferenza di Baku riguarda la finanza climatica: il tentativo è quello di concretizzare un sostegno economico diretto ai Paesi in via di sviluppo con finanziamenti tesi, oltre che a ridurre i gas serra, a ridurre l’impatto del cambiamento climatico che sta generando importanti disastri ambientali specialmente, appunto, nei Paesi del Terzo Mondo. Secondo il rapporto dell’UNHCR alla Conferenza, i finanziamenti per il clima sono insufficienti non solo a coadiuvare nel passaggio a forme energetiche più sostenibili ma anche a risolvere adeguatamente i fortissimi disagi legati a catastrofi ambientali oltre che a coprire i fabbisogni dei rifugiati.

Come ha dichiarato Filippo Grandialto ufficiale delle Nazioni Unite per i rifugiati: “Le persone costrette a fuggire, e le comunità che le ospitano, sono le meno responsabili delle emissioni di carbonio, eppure stanno pagando il prezzo più alto. I miliardi di dollari di finanziamenti per il clima non arrivano mai a loro e l’assistenza umanitaria non riesce a coprire adeguatamente il divario sempre più ampio. Le soluzioni sono a portata di mano, ma è necessaria un’azione urgente. Senza risorse e sostegno adeguati, le persone colpite rimarranno intrappolate”. Ma un punto di convergenza sembra essere, purtroppo, ancora lontano. Ad 11 giorni dall’inizio dei lavori della Conferenza, i negoziati sul dossier centrale del vertice, così come gli accordi sulla finanza climatica, non hanno ancora fatto passi avanti significativi, accentuando le differenze di vedute fra Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Resta inoltre difficoltoso l’approccio con i Paesi non partecipanti, visto il negazionismo di Russia, Cina ed Usa. L’ultima versione del documento finale presentata ieri mattina, 21 Novembre, sembra riflettere piuttosto una semplificazione delle posizioni contrapposte. Vedremo cosa succederà nella fase finale, dopo la revisione e la stesura del documento definitivo, considerando la netta posizione già espressa dall’UEattraverso il Commissario al Clima Wopke Hoekstra che in plenaria ha definito l’ultima bozza “squilibrata, inattuabile e inaccettabile”.

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