“Le bestie saranno il tempo in tempo, quando serve saperlo. Pensarci prima è rovina di uomini e non prepara alla prontezza”.
Il peso della farfalla è una novella dello scrittore napoletano Erri De Luca. Il racconto narra la storia di un vecchio camoscio, capo del suo branco, e di un bracconiere.
All’arrivo dell’inverno, il re dei camosci, ormai stanco, capisce che la fine del suo regno è vicina; non vuole cedere il suo regno in un duello, ma preferisce ritirarsi e morire da solo. Il bracconiere, soprannominato in paese “il re dei camosci”, vuole uccidere il camoscio. Per il suo ciuffo. Per la sua bellezza. Per la sua maestosità.
L’uomo raggiunge, dunque, la montagna, si apposta con la sua magnum e prepara la pallottola da undici grammi. È steso, vigile, in attesa dell’arrivo del camoscio. L’animale, riconosciuto l’odore dell’uomo, gli si avvicina e lo coglie di sorpresa, ma il cacciatore riesce a ucciderlo. Il cacciatore prende il camoscio sulle spalle, ma non riesce a tornare al paese. Per il peso di una farfalla cade e muore anche lui insieme al re dei camosci.
Il racconto è una lunga metafora della vita. Il camoscio rappresenta l’uomo stanco, che vuole ritirarsi e concludere la vita a modo suo; mentre il bracconiere è il tempo che scorre, che attanaglia, che impaurisce. Il camoscio, però, sceglie di andare incontro all’uomo. Vuole morire. Vuole morire da re dei camosci.
Nel racconto viene enfatizzato come le bestie siano in grado di sapere il tempo in tempo, e quindi la loro prontezza nell’affrontare qualunque situazione: previste e imprevista. Avremmo bisogno del loro fiuto. Avremmo bisogno della loro prontezza. Avremmo bisogno della loro dignità nel farsi da parte.