“Leone” è un bambino che prega. Non c’è nulla di strano nell’atto in sé, ma nel fatto che Leone preghi ovunque; in particolare, in luoghi dove la sua immobilità e concentrazione mettono a dura prova la pazienza di sua mamma. Supermercati, boutique, vetrine: ogni punto è adatto.
A pregare, Leone ha imparato da sua nonna, che gli ha anche insegnato a fare il presepe come si deve, mica come quella noiosa dell’Altranonna. Con la morte della nonna, il nipotino decide di mantenere l’abitudine della preghiera, la loro abitudine quotidiana: non importa se non ha più le statuine di lacca dei santi a portata di mano, tanto lui prega lo stesso e ovunque.
Non è che Leone preghi e basta: ha sei anni, ci mancherebbe altro! Nella sua vita ci sono mamma Katia, papà Oscar, robot e macchinine, dolci e serate MC Donald. La mamma però si preoccupa: cos’è mai questa abitudine di pregare? Di pregare facendosi vedere, poi, e non in Chiesa dove è bene che si faccia.
I compagni di scuola la prendono un po’ meglio: a loro, la preghiera sembra un super potere. Di nuovo, però, come in “Facebook in the rain”, la Mastrocola sembra lasciar intendere che non è bene ottenere tutto quello che si desidera; di nuovo, inoltre, sceglie la pioggia come elemento potente e risolutivo. Niente quarantene da coronavirus, al paese di Leone: soltanto una pioggia torrenziale che sembra il diluvio di Noè e che spinge tutti i cittadini a radunarsi a pregare a casa di Leone, insieme a lui. Per cosa, poi? C’è bisogno di chiedere davvero qualcosa per pregare? Non basta farlo insieme?
Storia fine, delicata, commovente. Se vi manca una nonna o se volete riflettere sui nuovi strani pudori della società, “Leone” fa decisamente per voi.