Il tempo dei legami, Donatella Di Pietrantonio si racconta a Più libri più liberi

Nella giornata di sabato 7 dicembre la nota scrittrice italiana Donatella Di Pietrantonio è stata intervistata dalla giornalista Stefania Aloia (vicedirettrice di «la Repubblica») presso l’arena Repubblica-Robinson di Più libri più liberi (2024). 

Considerata tra le più importanti scrittrici italiane del momento, Donatella Di Pietrantonio ha vinto quest’anno il Premio Strega con il suo ultimo romanzo L’età fragile e nel 2017 il Premio Campiello con L’Arminuta, dopo il quale è diventata nota al grande pubblico – da cui è stato fatto nel 2021 anche un adattamento cinematografico.

Durante l’incontro di sabato, incentrato sul “tempo dei legami”, Di Pietrantonio svela alcune delle ferite nascoste nei suoi romanzi, partendo dal quesito della giornalista: oggi è il tempo dei legami o è il tempo della libertà e della ribellione? 

Oltre alle ambientazioni abruzzesi campestri, il filo rosso che percorre tutte le opere dell’autrice è rappresentato dalla figura della madre. Non a caso, essa rappresenta per tutti gli esseri viventi l’iniziazione al complicato mondo dei legami, il quale si rompe nel momento stesso in cui veniamo al mondo – la vita comincia con quella separazione, con il taglio del cordone. Questo è un tema antico e inesauribile in letteratura, presente da sempre in ogni forma d’espressione umana; ad esempio, il mito di Medea – colei che ha ucciso i suoi figli – è un chiaro esempio di legame disfunzionale; oppure, nella fiaba, Hänsel e Gretel vengono anch’essi abbandonati dai genitori. La scrittrice dichiara di essersi sempre chiesta come la madre, colei che partorisce dal suo grembo – mentre il padre è di per sé una figura abbandonica –, possa accettare di lasciare i figli soli a sé stessi quando hanno bisogno di cure.

Cresciuta negli anni Sessanta e figlia di una contadina, Di Pietrantonio descrive sua madre come una donna distaccata e lontana – di fatto era costretta, soprattutto a causa del sistema agro-pastorale e patriarcale di cui faceva parte, a lavorare tutto il giorno in campagna e la sera a casa. La scrittrice parla di “abbandono dello sguardo”, perché la madre, essendo impegnata tutto il giorno, guardava sempre ciò che stavano facendo le sue mani. Ancora oggi la Di Pietrantonio si chiede se all’origine delle sue scelte e del suo trascorso ci sia la figura della madre o se, a prescindere da lei, le cose sarebbero andate allo stesso modo. Infatti, il legame con la madre è il più importante, quello che ci condiziona per tutta la vita. Lucia, la protagonista di L’età fragile, arrivata ormai alla soglia della mezza età, capisce questo: il modello di donna che è stata sua madre, con la sua sottomissione e soggezione al patriarcato, ha continuato comunque a influenzarla inconsapevolmente nonostante l’emancipazione. È un’eredità che avviene in maniera naturale, senza che ce ne accorgiamo, e senza la possibilità, quindi, di espellerla del tutto. La scrittrice fa l’esempio del modello educativo di fedeltà e ubbidienza al padre, a causa del quale anche lei ha impiegato molto tempo prima di mettere in discussione la sua figura. Racconta ad esempio che, tutt’oggi, quando lui la chiama mentre lei è intenta a scrivere, risponde sempre e comunque che, invece, sta cucinando.

L’altro legame fortissimo che unisce tutte le sue opere è quello con la terra abruzzese – che vuole rappresentare tutti i territori italiani interni e isolati. Di Pietrantonio racconta di come essere cresciuta in una provincia sia stato un limite, causandole perfino un grande senso d’inferiorità durante la giovinezza. Solo di recente si è resa conto che le origini sono il nucleo della scrittura: quel “limite”, infatti, esigeva di essere raccontato. La sua terra si è così trasformata da luogo arido a tesoro di temi ed elementi ancestrali – è stato l’isolamento a darle modo di vivere condizioni che altrove erano già state superate, e di poterle, poi, raccontare.

Per rispondere, dunque, al primo quisito sui legami, Di Pietrantonio spiega che di certo nelle prime fasi di vita l’essere umano ha bisogno di figure di sostegno; e, tra le varie cure di cui necessitiamo, è fondamentale quella psichica e affettiva. Difatti, l’autonomia e la libertà non sono necessariamente il contrario del legame, piuttosto devono coesistere per l’equilibrio psicologico e naturale. Con le parole della scrittrice: «Per diventare chi sei e identificarti come essere autonomo prima devi essere stato legato, devi aver ricevuto quelle cure e quel nutrimento. Paradossalmente si è meno liberi se non ci sono state le cure patentali […]. È più difficile liberarsi e trovare l’autonomia da una madre che non ti ha amata, piuttosto che da una madre che ti ha amata. Un legame funzionale ti apre la strada all’andare; se, invece, non si riceve ciò di cui si ha bisogno, si resta per tutta la vita in attesa». 

Così, si aspetta per tutta la vita, in cerca di una risposta sul perché le cose sono andate in un determinato modo: l’assenza d’amore è dovuta a un’incapacità della madre di amare – la quale non riesce a ribellarsi nemmeno per amore dei figli agli obblighi sociali imposti – o è il figlio a non essere amabile? 

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