Il tarantismo come atto liberatorio in nome di San Paolo

Il tarantismo, “esorcismo musicale” diffuso fino a fine anni ’60 nel Sud Italia, è profondamente legato alla figura di San Paolo. Infatti, il 29 giugno, giorno della ricorrenza liturgica in onore del Santo, in Salento si festeggia la Notte della Taranta, una secolarizzazione dell’antico rito.

La tradizione cattolica e questa festività di origine pagana si sono reciprocamente influenzate negli anni.

Il tarantismo si sarebbe diffuso nel Sud Italia nel VII secolo, tramite l’influenza di culti africani e mediorientali, come ad esempio le pratiche magiche afro-caraibiche della macumba e del vudù. Similmente alla taranta, queste danze vigorose vengono, ancor oggi, praticate da persone “impossessate” che, muovendosi a ritmo di musica, si libererebbero dagli spiriti maligni.

L’antropologo Ernesto De Martino, tra gli anni ’50 e ’60, ha dimostrato che il fenomeno del tarantismo, ancora diffuso in Salento all’epoca, non era il risultato del morso di un animale velenoso — nello specifico, di una tarantola—  ma la risposta a costrizioni sociali che colpivano specialmente le donne.

Si parlava, infatti, per la quasi totalità di “tarantate” e di pochissimi “tarantati”. Nella stagione estiva, questi individui venivano colpiti da malessere, isterismo e convulsioni e venivano guariti tramite un “esorcismo musicale-coreutico”, così definito da De Martino.

La chiesa cattolica, nel Medioevo, aveva provato a sradicare questo fenomeno, considerato blasfemo perché vicino ai riti orgiastici delle menadi e ai culti dionisiaci dell’antica Grecia, attraverso i quali la sessualità femminile aveva trovato forme di espressione culturalmente accettate. Ma la pratica, ormai radicata, era riuscita a resistere, anche se in forma “cristianizzata”; così, con l’introduzione del calendario gregoriano, San Paolo era diventato il patrono dei tarantati.

Nonostante ciò, si può dire che San Paolo abbia decretato la definitiva sottomissione femminile nel mondo cattolico. Nella sua prima lettera ai Corinzi possiamo leggere: “L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli.” (1 Corinzi, 7-16).

Quindi, nessuno quanto lui poteva respingere tale ritualità selvaggia e femminile; proprio come  lo erano i lamenti funebri, sempre diffusi nell’Italia meridionale, i quali erano stati eclissati dal lutto interiorizzato della Vergine Maria.

Nonostante questi tentativi repressivi da parte della Chiesa, il tarantismo era riuscito a mantenere il suo carattere esorcizzante e liberatorio.

La difficile condizione femminile nel meridione, fatta di matrimoni combinati, violenze e subalternità, defluiva all’esterno, fuori dal corpo e dalla psiche di queste donne disperate, grazie a danze catartiche. Le donne, ultime nella scala sociale, solo durante questi pochi giorni di festa potevano dar sfogo alle proprie frustrazioni familiari, sociali e sessuali.

Due antropologhe francesi che si interessarono al tarantismo, Hélène Cixous e Catherine Clément, parlarono del rituale come fortemente sessualizzato: “surrogato dell’orgasmo, mimato in tutte le forme della rimozione, nella torsione delle mani, nelle acrobazie, negli arti annodati, nelle schiene arcuate; e la risoluzione della crisi è spossatezza, languore, immobilità silenziosa. Dopo la danza del ragno, quando la grazia è finalmente manifesta, la donna morsa dalla tarantola riposa.” (Hélène Cixous e Catherine Clément, The newly born woman, University of Minnesota Press, 1996, p. 21).

In una società che relegava la donna a oggetto amoroso passivo, l’impossibilità femminile di potersi esprimere liberamente a livello sessuale e di poter approcciare, in maniera diretta, l’oggetto del proprio desiderio si era convertita in un atto liberatorio circoscritto.

Una volta l’anno le donne ma anche alcuni uomini, in condizioni di disagio, davano sfogo al loro risentimento per un mondo circostante crudele, ballando in modo sfrenato e invocando l’aiuto di San Paolo. In questo senso, la Chiesa non riuscì mai a debellare il “morbo” del tarantismo e non ci riuscì neanche tramite l’intercessione di San Paolo, diventato a tutti gli effetti il protettore dei tarantati.

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