Il primo a sfruttare il ddl Zan è stato Letta

Ieri la discussione in Senato in merito al ddl Zan è finita con la vittoria del Centrodestra, che ha chiesto il voto segreto e adoperato la cosiddetta “tagliola”, ovvero il procedimento di cui all’art. 96 del regolamento del Senato: “Prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge, un senatore per ciascun gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame”. In sostanza, un meccanismo per direttissima che ha contribuito ad affossare il ddl tanto discusso. 

Il Centrodestra, però, non è stato il solo artefice del “no”; dietro a quel voto, ci sono mesi di disinformazione, attacchi, propagande e pensieri che hanno diviso tutti i partiti. Il voto segreto ha fatto emergere franchi tiratori complici del risultato, che senza l’anonimato forse non avrebbero aiutato il fronte degli oppositori. 

Il Pd, in tutto ciò, non è un angelo ferito dai diavoli: Enrico Letta è stato il primo a servirsi della “baraonda Zan”. 

Il disegno di legge, infatti, dopo il passaggio in Commissione giustizia, avrebbe dovuto trovare spazio in Aula durante l’estate. Tuttavia, la discussione è stata rimandata – si diceva a settembre. Invece è slittata ancora, fino a ieri. Qualcuno ipotizzava il dibattito settembrino, cosicché il Pd avrebbe potuto cavalcare le divisioni che sarebbero sorte e le avrebbe potute sfruttare durante la campagna elettorale. Errato. Enrico Letta, già da mesi, aveva due certezze: la prima, ovvero la vittoria del suo partito alle elezioni amministrative in larga misura; la seconda, ossia gli ostacoli che il ddl Zan avrebbe incontrato in Senato. E perché rischiare di deteriorare una prospettiva positiva in chiave elettorale, buttando nel calderone della campagna anche il disegno di legge, dall’esito incerto? Sarebbe stata una scelta politica avventata, che Letta ha furbamente evitato. 

Le sue certezze, inoltre, avevano dei fondamenti solidi. Da una parte il Centrodestra ha sbagliato coi tempi e con le scelte in vista delle elezioni, e ciò era noto. Dall’altra il ddl Zan era diventato un nodo cruciale per i partiti, fratturate le coalizioni e accesi gli animi. Letta, peraltro, probabilmente aveva già previsto la possibilità del voto segreto, dei “traditori” e dell’art. 96 del regolamento. Così, ha preferito posticipare il ddl Zan e godersi una vittoria prevedibile sui territori, evitando sorprese. 

Alla luce di questo, egli per primo ha sfruttato il disegno di legge. L’ha fatto nell’ottica di evitare ritorsioni qualora – come accaduto – la discussione fosse andata male. Contare più pallini nel pallottoliere delle amministrative, contro il Centrodestra, è più importante della imprescindibile battaglia civile del ddl Zan? Le filippiche sull’importanza della legge in chiave sociale, politica, paideutica, culturale erano meno rilevanti del successo nelle città?

Si svela così l’ipocrisia di chi crede nelle battaglie ma non le antepone alle percentuali. E alle battaglie dà un’impronta più ideologica che valoriale, che sostanziale. Il comportamento di Letta è quello, infine, della classe politica italiana di oggi. Proporre per dividere, mai per unire. 

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