La morte del piccolo Joseph è l’ennesima tragedia nel mediterraneo, divenuto sempre più cimitero senza lapide. Questa è l’emblema della vergogna di non sapere porre fine alla strage degli innocenti.
Per tutti, l’approdo desiderato era l’isola della speranza. Ci siano passati o rimasti, l’abbiano vista da lontano o solo sognata, l’isola era la loro meta, la loro occasione di riscatto, ma è stata la loro vera tomba.
Ma per tutti, la morte è cominciata in quel momento in cui hanno lasciato la propria terra per cadere preda di uomini senza scrupoli. Da quell’istante hanno cominciato a morire lentamente, espropriati del nome, della dignità, trasformati in bestie da lasciare affogare nelle acque gelide.
E quello che preoccupa, è l’imbarbarimento del cuore dell’uomo, prigioniero delle sue stesse paure. Le morti atroci, che si sono consumate, sono la dimostrazione del fallimento di ogni tipo di politiche per arginare e fronteggiare il drammatico fenomeno migratorio.
E come se non bastasse, si continua ad uccidere la speranza di chi fugge dalla disperazione, inseguendo un sogno per una vita migliore. La civilissima Europa, che affonda le sue radici alla più nobile tradizione umanitaria, deve impedirlo, per evitare che si possa consumare definitivamente al largo delle nostre coste, una tragedia immane, destinata a rimanere una ferita profonda nella storia.
Al piccolo Joseph l’approdo nel cimitero di Lampedusa, nel perenne ricordo di ciascuno di noi.