Il Gattopardo di Tomasi: il felino danza su Netflix

È il 1958. Per I Contemporanei Feltrinelli esce Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un romanzo storico, siciliano, negli anni complessi d’Unità Nazionale ancora in fieri. La trama muove dalla famiglia Salina: un insieme di anime diverse; l’ultimo baluardo aristocratico. Dopo di loro la borghesia, l’annessione al Regno, il nuovo. Per anni dietro l’etichetta di libro statico, trapassato, la critica recente ne offre una lettura dinamica, tuttavia, troppo debole per imporsi sui giudizi di Vittorini e Alicata. Eppure, i simboli di moto si affollano se lo sguardo si affina. L’azione procede in filigrana e muove l’interesse di Netflix che ne fa una serie in sei episodi. Dal cinque Marzo (’25) la piattaforma rende disponibile l’adattamento di un romanzo dall’indubbio valore artistico.

Il Gattopardo è frutto di un processo letterario estremo. La genesi, la critica, la stampa: ogni stadio è un atto culturale compiuto. Ogni passo è riflessione – metaletteraria- che procede e s’infittisce.

Il romanzo muove da circostanze implicate d’arte. È il 1954 quando Tomasi raggiunge San Pellegrino Terme. Presenzia come accompagnatore di Lucio Piccolo, l’astro nascente e pupillo di Eugenio Montale. Da quell’evento, l’impresa creativa dell’autore (Tomasi) non si arresta. Non digiuno di poesia, ma esperto accorto, si ispira a Stendhal.

Il romanzo scritto da una Siciliano, sulla Sicilia e per i siciliani, hai dei passaggi critici obbligati; il primo: il confronto con Verga. Per entrambi la roba e le cose sono la totalità del reale. In Tomasi, ciò definisce l’annientamento dinastico dell’individuo, l’idolatria del fidecommesso.

Segue, per temi condivisi, il paragone con Nevio. Quest’ultimo, si “abbandona alla retorica della patria e dell’amore.” È veneto, italiano; Tomasi, invece, “stava allerta di non esserlo mai.”

La stampa del Gattopardo –primo best seller nazionale – è un intenso lavoro d’esperti. L’edizione Feltrinelli a cura di Giorgio Bassani; la candidatura al premio Strega su proposta di Ignazio Silone e Geno Pampaloni. Infine, l’adattamento cinematografico di Luchino Visconti. Insomma, il meglio della cultura italiana al servizio di un’opera che la critica ha colpito aspramente.  Emblematico, infine, il commento di Alicata: “Il successo del romanzo non può essere il sintomo d’una situazione anormale della nostra vita culturale, incapaci come siamo di atteggiamenti attuali e moderni.”

Anni dopo, però, Gabriele Pedullà conia il termine gattopardismo: “una particolare forma di trasformismo, che si adegua ai cambiamenti per meglio sopravvivere a essi, accogliendoli nella forma e svuotandoli di contenuto.”

Che l’opera invochi l’azione è un dato di fatto. D’altronde, il simbolo araldico dei Salina è un felino illeonito in atto danzante. Il gattopardo ribalza su qualsiasi proprietà di famiglia: fontane, strade, porte; sempre solido, dinamico, anche quando l’esterno ne muta l’aspetto e una sassata gli tronca le gambe.

La stessa fermezza è nel principe Fabrizio: il capofamiglia. Il personaggio, inerme nell’aspetto, ma di spirito acuto, fluido. A lui, l’amara sentenza del moto instancabile della vita. A guidarlo è un senso di sfiducia esistenziale che lo devasta. Una mente lucida che non nega la storia; piuttosto, si mette da parte e lascia che altri la servono fedeli. 

Dentro la storia è il giovane Tancredi. Il rampollo della famiglia Salina che partecipa ai moti garibaldini seppur aristocratico.  In lui il gattopardismo diventa una sentenza: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”

In ultimo, il cambiamento più estremo del romanzo è la fine dell’aristocrazia. Quale che siano le conseguenze, e se davvero ci siano, è un dato successivo. Ciò che conta, in questa sede, è il piegarsi della microstoria alla macrostoria. Quest’ultima, si muove sempre con ritmi siderali e continui ritorni. Un moto che il Gattopardo esprime nel sorgere del sole: “sole intenso, sole di piombo, implacabile sole.”

Questa dinamicità che la critica ha tolto al Gattopardo, studiata solo di recente, si attende nella serie Netflix ispirata al romanzo. La produzione (Indiana Production-Moonage Pictures) guidata dal regista Tom Shankland, presenta un cast d’eccezione: da Deva Cassel a Benedetta Porcaroli che, nel ruolo di Concetta, avrà uno spazio maggiore nella serie e un riscatto sociale negato nel romanzo.

Tinny Andreatta, vicepresidente per i contenuti italiani di Netflix, sottolinea l’universalità e l’intimità del lavoro. Si potrebbe aggiungere, in ultima battuta, un prodotto identitario autentico che muove da un’opera altamente lirica. La conclusione a questa riflessione, l’ha già scritta Bassani nelle ultime righe alla prefazione de Il Gattopardo: “Sono persuaso che la poesia, quando c’è – e qui non mi par dubbio ci sia – meriti di essere considerata almeno per un momento per quello che è. Per lo strano gioco di cui consiste, per il primordiale dono di illusione, di verità e di musica che vuole darci anzitutto.”

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